Settantacinque anni fa il sì della Costituente: così è nata la regione Friuli-Venezia Giulia

Il 27 giugno del 1947 l’approvazione non senza posizioni contrarie, quinto e ultimo ente in ordine di tempo tra quelli a statuto speciale

Andrea Zannini

UDINE. Settantacinque anni fa, il 27 giugno 1947, l’Assemblea costituente approvava la nascita della regione Friuli-Venezia Giulia, quinta e ultima in ordine di tempo tra quelle a statuto speciale. In un anno e mezzo i Padri costituenti avevano compiuto un miracolo, scrivere cioè una Carta che si sarebbe dimostrata in grado di reggere cambiamenti allora impensabili.

Ma il percorso che aveva condotto alla nascita del nuovo ente regionale era stato tortuoso, pieno di trabocchetti, fughe in avanti e ripensamenti. Né si poteva dire concluso. All’inizio dei lavori delle commissioni costituzionali i problemi in campo erano diversi.

Da un lato la situazione di Trieste e della Venezia Giulia, sotto il controllo dei comandi alleati e il cui destino era in discussione nei contemporanei lavori parigini per il trattato di pace. Anche per questo la battaglia per l’autonomia regionale nella Costituente, per eleggere la quale i cittadini triestini e goriziani non avevano potuto votare, fu portata avanti quasi per intero dai soli deputati friulani.

L’altra questione era per certi versi ancora più complessa. L’autonomismo friulano, rinato e rinvigorito dopo nel 1945, aspirava da un lato a evitare che la “provincia del Friuli” (così tra 1923 e 1940) rimanesse accorpata al Veneto, dall’altro aveva come obiettivo una ben delineata autosufficienza. Nella visione dei costituenti i nuovi enti regionali dovevano rispecchiare le “regioni storiche” ma né il Friuli né la Venezia Giulia erano considerate tali. Né vi fu, nei lavori dell’Assemblea, alcuna “costituente territoriale”, alcuna fondata riflessione sul ritaglio dei nuovi enti regionali, basata su considerazioni storico-geografiche e giuridiche che tenessero magari conto della presenza di minoranze linguistiche, dell’eredità costituita dall’esistenza di Stati pre-unitari o altro.

Il criterio utilizzato fu statistico-amministrativo: sin dal primo censimento del Regno, quello del 1861, per la diffusione dei dati si era infatti reso necessario individuare dei “compartimenti statistici” in grado di rappresentare unità territoriali con affinità topografiche e socio-economiche. A quelli, quasi un secolo dopo, si fece ricorso e fu in definitiva Pietro Maestri, Direttore dell’Ufficio centrale di Statistica negli anni ’60 dell’800, a disegnare il profilo delle regioni che sono giunte fino a oggi.

Quando, dopo la Terza guerra di indipendenza, gli annuari dovettero registrare le sopraggiunte annessioni, elencarono solo il compartimento del Veneto, comprendente la provincia di Udine; e dopo la Grande Guerra il nuovo compartimento della “Venezia Giulia e Zara”, il cui territorio sarebbe stato però in larga parte perduto nel 1945. Con una tale complessità politica locale e internazionale, non stupisce che si sia arrivati alla nascita della nuova regione, in qualche modo, “per esclusione”.

Nel dicembre 1946 la II Sottocommissione aveva in realtà approvato la nascita di una “Regione Friulana”, cioè grossomodo l’antica Patria più le parti della Venezia Giulia assegnate all’Italia dai trattati internazionali, senza però il mandamento di Portogruaro (veneto dal 1807). Nel febbraio successivo, la formula proposta fu quindi quella di “Friuli-Venezia Giulia”, rinviando a successivi accertamenti la possibilità o meno di assegnare il rango della specialità. Quando, il 27 giugno 1947, la discussione giunse nell’Assemblea plenaria, tutto ritornò però in discussione, compresa l’ipotesi di dar vita o meno a una nuova regione.

Il deputato democristiano triestino Fausto Pecorari propose che fosse inserita tra le regioni a statuto speciale la “Regione Giulio-Friulana e Zara” e per evitare che una simile impostazione, che coinvolgeva argomenti di carattere internazionale, conducesse allo stallo, se non al ritorno alla soluzione dell’aggregazione del Friuli al Veneto, i deputati friulani ripresero allora la denominazione “Friuli-Venezia Giulia” (col trattino), corredata però dalla richiesta dell’autonomia speciale.

Principale motore della battaglia friulana fu l’udinese Tiziano Tessitori, già fondatore nel luglio 1945 dell’Associazione dell’Autonomia friulana e che era stato eletto alla Costituente nelle fila della Democrazia cristiana.

La soluzione, che fu approvata quasi all’unanimità dall’Assemblea, generò in Friuli un’ondata di rimostranze di parte friulanista, alle quali seguì un ordigno fatto scoppiare nella notte dinanzi alla villa di Tessitori che per un nulla non provocò delle vittime, a testimonianza della durezza dello scontro. Tra l’ordinarietà all’interno del Veneto e la specialità con la Venezia Giulia questa seconda opzione era però il massimo che, da parte friulana, poteva essere realisticamente ottenuto in quel momento.

Sarebbero dovuti trascorrere altri tre lustri di discussioni sui progetti di statuto, il memorandum di Londra che riportava la città di Trieste ad essere parte del territorio italiano (1954) con la rinuncia definitiva ai territori adriatici ormai jugoslavi (dai quali erano stati espulsi centinaia di migliaia di italiani) e, soprattutto l’avvio di nuovi equilibri politici nazionali con la fine del centralismo degasperiano, perché nel 1963 la regione Friuli-Venezia Giulia divenisse realtà istituzionale.

I consigli delle regioni a statuto ordinario sarebbero stati eletti solo sette anni dopo (1970), cioè ventitré anni dopo che erano stati previsti in Costituzione, a testimoniare gli affanni e le incertezze del regionalismo italiano.

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