De Toni: «Dopo un anno e mezzo è giusto immaginare un riassetto di giunta»
Il primo cittadino di Udine apre al cambio delle deleghe «per ottimizzare l’azione di governo». «Essere sindaco è più difficile che fare il rettore, ma voglio ricandidarmi»

Il rimpasto di giunta (che si farà, almeno a livello di deleghe), i rapporti con la maggioranza e con la Regione. Ma anche la sfida dell’Ambito territoriale, della governance di Udine Mercati, nonchè la convinzione, almeno oggi, che nel 2028 si ripresenterà per cercare il bis a palazzo D’Aronco. C’è tanta politica, anzi quasi tutta e ad ampio spettro, in sintesi, nell’intervista di fine anno di Alberto Felice De Toni.
Sindaco, quando ha lasciato l’Ateneo, si immaginava che la politica sarebbe stata così complicata?
«Ho capito che fare il sindaco è più difficile che essere rettore, perchè ci sono interessi maggiori, conflitti più forti, forze organizzate come partiti e lobby, ma pure le ideologie».
Ha bloccato lei il rimpasto di giunta oppure il Pd?
«Io lavoro con il metodo del consenso. Un sindaco decisionista avrebbe pianificato un’azione e l’avrebbe implementata. Io invece sono convinto che inclinando il piano, la pallina alla fine cade da sola. Però ha bisogno di tempo, di discussioni e di condivisione. Il metodo forse è più lento, ma garantisce la possibilità di cercare il miglior punto di caduta».
Ma la sua squadra di governo va limata oppure va bene così?
«Abbiamo raggiunto i 18 mesi di mandato sui 60 previsti. Calcisticamente, siamo al 30’ di una partita con undici elementi in gioco. Dopo un terzo di gara, pertanto, va da sè che una squadra possa rivedere le posizioni in campo. È del tutto plausibile, sempre ottenendo il consenso di cui parlavo prima».
Quindi sì al cambio dei ruoli, cioè le deleghe, ma non dei giocatori, per cui non gli assessori. Ma è vero che il Pd le aveva chiesto di cambiare Meloni?
«No, si è trattato di voci di libere persone che, in democrazia, hanno diritto di dire quello che reputano opportuno».
Chi è nel mirino, sia dei partiti sia del mondo sanitario friulano, è l’assessore Gasparin. Non rischia di diventare un problema politico?
«È una delle considerazioni sul tappeto. Stiamo cercando di valutare al meglio la situazione. Dobbiamo fare una valutazione di riassetto in funzione dell’ottimizzazione dell’azione di governo».
Come si gestisce la dicotomia in giunta tra Venanzi e Marchiol?
«Entrambi avevano l’aspirazione di fare il sindaco ed è abbastanza naturale che in giunta ci siano persone con carattere e storie più pronunciate di altri. Fa parte del gioco, ma ho imparato sul campo la capacità di mediare su prospettive e ambizioni dei singoli. Preoccupato? No, se non ci fosse energia sarebbe peggio. L’abilità, in questi casi, è quella di trovare il giusto compromesso, come avvenuto per la pedonalizzazione in cui siamo stati in grado di raggiungere un ottimo risultato finale».
Quanto l’ha infastidita l’ordine del giorno della sua civica contro la nuova sede della Net?
«Nella mia lista ci sono persone iscritte al Patto per l’Autonomia, a Italia Viva, a Civica Fvg e poi anche i civici puri. In questo scenario è chiaro che se il capogruppo, dichiarato autonomista, presenta un testo del genere diventa inopportuno. Infatti è stato ritirato».
Non lo ripresenta a gennaio?
«Vedremo».
Come sono i rapporti con la Regione?
«Decisamente migliorati. Abbiamo superato in maniera elegante il tema del patrocinio, su Borgo stazione c’è stato un primo finanziamento e adesso abbiamo costituito il gruppo comune per arrivare a fine marzo con qualcosa di più avanzato rispetto a un master plan e con lo scopo di stanziare, in assestamento a luglio, ulteriori fondi attraverso i quali andare avanti nel progetto di rigenerazione urbana dell’intera area».
È fiducioso di ottenere i circa 10 milioni chiesti in concertazione?
«La fiducia è come l’aria: non si vede, ma se non c’è si muore».
Condivide l’analisi dell’assessore regionale Amirante sulle mancanze del cronoprogramma per l’abolizione dei passaggi a livello?
«Non l’ho ancora ricevuto ufficialmente, ma se l’assessore ha questa opinione, mi allineo alla sua richiesta di integrazione rivolta a Rfi».
Alla fine chi guiderà l’Ambito nei prossimi anni?
«Quando mi sono insediato c’erano almeno un paio di persone che avrebbero voluto diventare presidenti dell’Ambito. Come Comuni abbiamo convenuto che rimanesse in carica Udine fino al nuovo accordo con l’ospedale e, a quel punto, il sottoscritto avrebbe compiuto un passo indietro. Non soltanto confermo questa impostazione, ma ricordo anche che abbiamo introdotto la doppia maggioranza di voto in modo tale che Udine e Tavagnacco non possano avere, sempre e comunque, i numeri per eleggere il presidente in autonomia. Lo ritengo un buon segnale di aumento della democrazia partecipativa».
La rete oncologica, invece, la convince?
«Se si vuole avere una medicina di qualità bisogna puntare su economie di scala e concentrazioni. Il trend naturale, che va avanti da almeno 30 anni, porta ad assegnare agli ospedali hub le attività principali. Poi, per chi si vede privato di determinate funzioni, credo sia corretto agire in maniera compensativa. Non è però un tema di assessorato alla Salute, bensì di Regione».
Nella nuova organizzazione Udine non diventa ancora più centrale e, in questo senso, non è un bene per la città?
«Il Santa Maria della Misericordia è già, di fatto, l’ospedale principale della regione. Non per nulla da rettore ho sostenuto l’accordo attraverso cui i primari possono diventare associati. Adesso si rafforzerà ancora di più ed un bene per Udine e per il Friuli».
Agrusti sostiene che in futuro si potrebbe pensare a una fusione tra le Aziende di Udine e Pordenone...
«Logico, perchè in Europa i migliori ospedali sono già quelli che fanno anche ricerca, non soltanto assistenza».
Cosa pensa del ritorno delle Province?
«L’esigenza principale sul piano amministrativo è un progetto per i piccoli Comuni che non riescono a funzionare. L’urgenza è quella, anche perchè nulla si ripete alla stessa maniera nella storia e pensare di azzerare il corso della stessa, ritornando a un modello di Province di una decina di anni fa, è sbagliato».
Lei è espressione di una coalizione di centrosinistra che in città ha dimostrato di saper vincere. Cosa manca, invece, in Regione per essere competitivo?
«In realtà non mi pare competitivo nemmeno a livello nazionale visto che il centro dell’area progressista non è mai riuscito a strutturarsi. È il vero problema aperto che, in fondo, si ripresenta tale e quale pure a Trieste».
Secondo lei esiste davvero un centro che può essere decisivo in questo mondo polarizzato?
«Ci sono due centri nella politica italiana. A centrodestra è rappresentato da Forza Italia che ha superato egregiamente il post Berlusconi. A centrosinistra, invece, siamo un cantiere in via di costruzione che non si capisce come verrà terminato. In Regione, poi, il centro proprio non esiste come dimostra il fatto che è privo eletti in Consiglio».
In questo scenario, come si inserisce la sua Federazione Quadrifoglio, anche in prospettiva?
«La Federazione è già la lista civica di centro del campo progressista della città e che, proprio in virtù della diversità di aderenti alla stessa, dimostra come a Udine siamo più avanti, in positivo, rispetto alla Regione. Non per nulla ero stato anche invitato al lancio di Ruffini. Non ci sono potuto andare, ma resto tra i sostenitori del personalismo comunitario. Qualcosa di ben diverso dal collettivismo e dal liberismo dell’individuo».
A Udine Mercati dovete scegliere il nuovo presidente...
«Considerato che il vicepresidente Pavan ha alcune deleghe attive, penso che andremo all’approvazione del bilancio con lui per poi scegliere tra un paio di mesi».
È vero che il Pd vorrebbe Shaurli alla presidenza ma lei si oppone?
«Decideremo, anche in questo caso, puntando sempre sulla condivisione».
Ad aprile 2028 lei si vede a palazzo D’Aronco, a piazza Oberdan, in un senso oppure nell’altro, oppure nel buen retiro di Tricesimo?
«Tre anni e mezzo in politica sono un’era geologica ed è difficile fare previsioni. Ma se dovessi decidere domani, la scelta più probabile sarebbe la ricandidatura a Udine».
Quindi non si è stufato?
«Abbiamo impostato talmente tanto lavoro che a fine mandato sarebbe prodigioso averne completato la metà. E a me non piace lasciare nulla di incompiuto».
Fra un anno esatto, invece, cosa vorrebbe vedere realizzato?
«Voglio che venga cambiato il modello di raccolta dei rifiuti nei grandi condomini. Adesso partirà la sperimentazione e a luglio dobbiamo cominciare con l’implementazione in tutta la città».
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