Skrap lascia l'ospedale di Udine: «Il sistema pubblico è ingabbiato tra limiti e regole recessive»

Una storia lunga ventidue anni, tanti quelli trascorsi da Miran Skrap a Udine, primario prima, direttore della struttura complessa di neurochirurgia dell’Azienda sanitaria universitaria di Udine poi. Una storia che si interrompe perché Skrap ha scelto nuove sfide per la propria carriera. Sfide che il sistema pubblico non gli consente di cogliere. Da qui il trasferimento, ormai prossimo, a Milano, in Humanitas, dove sarà responsabile della sezione cranica dell’unità spinale, e dove eseguirà interventi di elezione. «Non me ne vado sbattendo la porta - chiarisce il neurochirurgo -, anzi. I rapporti sono ottimi e lo saranno in futuro e sono certo che saranno possibili nuove forme di collaborazione. Ma credo di poter concludere la mia carriera raccogliendo nuove sfide, anziché lasciandomi trasportare dall’inerzia. E forse non desidero più essere “ingabbiato” in un sistema di regole, tipico del “pubblico”, che a volte sono recessive».
Miran Skrap, classe 1953, è ritenuto uno dei migliori neurochirurghi d’Europa. Ha iniziato la sua carriera, dopo la laurea in medicina Trieste e la specializzazione a Padova, a Lubiana, salvo poi fare diverse esperienze In Svizzera e soprattutto negli Usa, dall'università di San Francisco a quella di Pittsburgh e Seattle, dal Medical Center di New York, al General Hospital di Boston. È rientrato in Italia, a Trieste, nel 1984 dove è stato prima assistente e poi aiuto di neurochirurgia. È approdato a Udine nel 1997 come direttore della neurochirurgia e poi come direttore del dipartimento delle chirurgie specialistiche.
Professore, andiamo per ordine. Prima domanda: è vero che se ne va?
«È vero».
E per quali ragioni?
«È una scelta personale e professionale: vorrei continuare ad andare in salita».
In salita?
«Sì, vorrei allargare la vista e la mia esperienza. Sia chiaro che non vado via da Udine sbattendo la porta e lascio ottimi rapporti».
Lascia Udine per andare a fare... che cosa?
«A gestire una struttura che si dedicherà esclusivamente alla chirurgia cranica in elezione. Vado a lavorare di più, in sostanza, in una funzione professionalmente più impegnativa».
Qui invece cosa avrebbe fatto?
«La progressione sarebbe stata orizzontale, so esattamente cosa sarebbe accaduto tra uno o due anni... un progredire per inerzia su una strada tracciata. L’alternativa, come detto, è una nuova sfida».
Una sfida che il sistema pubblico non le ha proposto...
«Non è un problema di Udine, è il sistema pubblico che è ingabbiato all’interno di determinate regole che a volte sono recessive. Lo sappiamo da sempre, non è una novità. Certe tipologie di intervento si possono fare, certo, ma solo entro determinate soglie, oltre non si può andare. Il sistema forfettario è limitante, e lo dico da sempre. La realtà è che il sistema sanitario pubblico ha un finanziamento definito e l’attività deve restare all'interno dei tetti di attività. Comprende come meccanismi di questo genere siano demotivanti».
Come giustamente ha detto, sono i limiti del sistema pubblico...
«Certo. Ma siccome non mi restano tantissimi anni prima di concludere la mia carriera, credo di poter cogliere altre opportunità, evitando l’inerzia o i paletti».
Che cosa porta con sé di questi 22 anni in Friuli?
«La soddisfazione di aver creato reti di collaborazione con tante strutture che vorrei continuassero ad esistere. Ritengo sarà possibile coltivare questi rapporti anche in futuro, e anche arricchirli. Sono stati vent'anni di rapporti personali molto buoni e proficui, sia sotto il profilo umano, che professionale».
Una sfida, un traguardo, un intervento eseguito che ricorda con particolare orgoglio?
«Interventi impegnativi ne abbiamo eseguiti tantissimi, ricordarli tutti non è possibile. Ma certamente rivendico il primato della chirurgia su paziente sveglio e collaborante, il primo eseguito proprio vent’anni fa, in cui siamo stati di gran lunga i primi in Italia».
Parla dell’intervento chirurgico al cervello senza anestesia generale?
«Esattamente»
I vantaggi?
«È la metodica più sicura di intervenire sul cervello con l’obiettivo di asportare la totalità della lesione neoplasica, o quanto meno quanto più possibile, con la certezza di ridurre al minimo i danni».
Una bella sfida...
«Una sfida e anche l’inaugurazione di un nuovo metodo di lavoro con la creazione di una equipe allargata a diversi specialisti, dal neurochirurgo al neurologo, dal neurofisiologo allo psicologo, al radiologo. Un team affiatato che, da quel primo intervento di vent’anni fa, ne ha eseguiti molti, molti altri».—
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