Soci rimborsati prima del crac Coopca rifiutano di restituire le quote

Una cinquantina di loro le aveva incassate un anno prima della liquidazione. Il curatore si ritrova in cassa 1,2 milioni in meno:la strada del ristoro è ardua

UDINE. Gli azionisti di CoopCa fanno quadrato. Non ci stanno a essere beffati per la seconda volta, dopo avere visto andare in fumo i propri risparmi con il crac del 2014.

E davanti alla richiesta di restituire all’azienda il ristoro delle proprie quote ottenuto fra 2013 e 2014 – reclamato dalla liquidatrice Paola Cella sulla base del Codice civile –, hanno risposto picche. Quasi nessuno ha aderito all’invito dell’avvocato Gianni Ortis. Una cinquantina le missive indirizzate ad altrettanti azionisti per recuperare una cifra che potrebbe arrivare a 1,2 milioni.

Ma «in pochissimi hanno restituito», ha confermato la liquidatrice giudiziale, Paola Cella. Talmente pochi che basterebbero le dita di una mano per contarli. Ora non resta che valutare il da farsi caso per caso.

La premessa gioca a favore della Cella, ma poi la realtà è un’altra cosa. Il concordato ha fissato come data ante il 4 settembre 2014, sulla base dell’articolo del Messaggero Veneto dal titolo “CoopCa, contratto di solidarietà per 650”.

Da quel momento e fino a 365 giorni prima, il capitale sociale è congelato a tutela dei creditori. «C’è una norma che disciplina le cooperative, la 2536 del Codice civile, il cui secondo comma dice che se la società cade in insolvenza entro un anno dal pagamento al socio della quota di liquidazione, l’ex socio deve restituire alla società, o agli organi della procedura di insolvenza, l’importo ricevuto a titolo di liquidazione della quota», ha spiegato Gianni Ortis, avvocato scelto dalla liquidatrice per la riscossione dei rimborsi.

«Sulla base di questa norma la procedura ha indicato la data limite al 4 settembre 2014 – sono state ancora le parole di Ortis –, la notizia dell’apertura del contratto di solidarietà data dalle pagine del Messaggero Veneto è stata considerata come una comunicazione di uno stato di insolvenza e quindi da quel momento e a ritroso si calcolano coloro i quali hanno ricevuto un rimborso. Ma ciascuno può contestare e andare da un legale. Per la procedura è un atto dovuto a tutela dei creditori».

E così è stato. Anzi, molti azionisti più semplicemente non hanno risposto alla missiva firmata CoopCa. «Adesso ho dato mandato all’avvocato di compiere altre verifiche – ha aggiunto Cella –. Poi è chiaro che se dovremo attivare azioni, le attiveremo. Insieme al legale e al Comitato dei creditori dovranno essere fatte anche valutazioni di capienza, se cioè valga la pena passare alla causa.

Procederemo con le verifiche patrimoniali, se da queste risulterà che ho buone possibilità di recuperare i fondi dell’azienda, allora procederò alle azioni legali, diversamente no: non posso spendere i soldi dei creditori per ottenere una sentenza da appendere al muro». Il lavoro della liquidatrice continua incessante.

E nella sesta semestrale è previsto un rimborso per i creditori chirografari, «somme che potrebbero essere oggetto di compensazione in questa vicenda», ha sottolineato Cella. Di sicuro, ha ribadito Cella, «non siamo qui per accanirci in maniera cattiva nei confronti di soggetti deboli. La legge è dalla nostra parte, d’accordo, ma servono anche altre valutazioni che vanno ponderate con attenzione. Procederemo posizione per posizione perché la gestione deve essere oculata.

Alcuni importi che richiediamo non giustificano la spesa». Infatti, le lettere inviate agli azionisti non vanno a toccare le posizioni dei cosiddetti “furbetti del rimborso”, ovvero i soci che avevano un filo diretto con i piani alti di CoopCa. E il motivo è presto detto: investire in azioni era rischioso.

Per gli “amici” c’erano dei libretti di deposito ad hoc che garantivano il ristoro del prestito in 48 ore e senza passare nemmeno dal Consiglio di amministrazione. Complessivamente gli azionisti erano 300 e avevano accumulato in CoopCa una cifra di poco inferiore agli 8 milioni. Il loro arruolamento era quasi sempre uguale: nei tempi d’oro di CoopCa, quando i libretti dei soci toccavano il limite massimo di 35 mila euro, veniva proposto ai soci prestatori di sottoscrivere azioni. E in questo caso la cifra oltre la quale non si poteva – teoricamente – andare era fissata a 100 mila euro.

Dal quartier generale di Tolmezzo si professavano massima trasparenza, zero rischi e forti garanzie. Tutte promesse andate in fumo una volta che i nodi sono arrivati al pettine. Oggi agli azionisti è invece richiesto di risarcire la somma ricevuta fra il 2013 e il 2014, più gli interessi maturati da allora e 250 euro per le spese legali.

A molti pesa proprio quest’ultima voce: «Perché il concordato non ci ha scritto direttamente senza passare da un legale, che dobbiamo anche pagarci? », hanno domandato. «Abbiamo chiesto un parere legale per avere la tranquillità che la legge si applicasse anche a CoopCa e che la richiesta del rimborso fosse legittima», ha risposto Cella.


 

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