La storia del dottor Dorigo: primario a Sidney, dopo cinquant’anni di nuovo nella sua Udine
Il medico ha lasciato il Friuli nel 1971 per trasferirsi in Australia con la famiglia. Ora ha deciso di approfittare di un viaggio italiano della figlia per mostrarle la sua città
Una vita va improvvisamente stretta, poche opportunità e molta routine. A volte è necessario uno strappo per vincere, lo sa bene il grimpeur, il ciclista che va forte in montagna. Nei Settanta di speranza ce n’era parecchia e a buon mercato, chiunque poteva farla propria e usarla per affrontare un’avventura con la consapevolezza di potercela fare. Nel terz’ultimo decennio del Novecento il sogno aveva delle chance che oggi non ha.
«Frequentavo la terza media alla Manzoni di Udine, nel 1971. A febbraio i miei comunicarono a me e a mio fratello la decisione di lasciare il Friuli destinazione Australia. E non ci fu nemmeno il tempo di un’eventuale nostra replica». Una cinquantina d’anni dopo Andrea Dorigo decide di tornare per un po’ nella sua città, approfittando di un viaggio italiano della figlia Isabella.
«Ci tengo a mostrarle dove suo padre ha vissuto fino a 13 anni», racconta il dottor Dorigo, oncologo e, fino a qualche anno fa, primario di medicina palliativa in un ospedale di Sidney. «Tornai a Udine alla fine dei Settanta, sfruttando una borsa di studio e mi affiancai ai colleghi udinesi del Santa Maria della Misericordia. Con l’intenzione però, di ritornare in Australia. Se mi chiede i motivi le rispondo: sensazioni. Medici bravissimi, per carità, eppure qualcosa mi diceva di non restare qui».
Non è facile per un adolescente lasciare tutto all’improvviso. Lei ne soffrì?
«Non mi resi conto, in realtà, accettai la scelta dei genitori senza farmi troppe domande. Sapevo che non avrei più rivisto i miei amici, certo, e me ne sarei fatti di nuovi, ma comunque lasci il certo per l’incerto e sai che abiterai un Paese talmente lontano dal tuo da non sembrare neppure vero. Studiai un mappamondo per capire dove sarei finito a vivere. E così ci imbarcammo: noi quattro, più molti mobili di casa e il pianoforte. Un mese di navigazione, come nei film di migranti italiani negli anni Cinquanta. Avevamo la nostra bella cabina e un magnifico ponte dal quale sentirsi parte degli Oceani».
Suo padre, perché scelse l’Australia?
«Era un ingegnere e lavorava a Udine. Abitavamo in una villetta in viale Palmanova. Ma una ventina d’anni prima ebbe modo di conoscere quel Paese e se ne innamorò. Appena gli fu possibile, dopo il ritorno in Italia, ci portò via tutti».
Ricorda l’impatto con una realtà tanto diversa?
«Non conoscevo benissimo l’inglese, nemmeno mia mamma e mio fratello. Approfittai di qualche mese di ambientamento per studiare come un matto, finché una sera, vedendo un film, cominciai a capire qualcosa, una sensazione stranissima. A quel punto frequentai le scuole e arrivai all’esame per entrare in Medicina».
Che mi dice della Udine del Terzo millennio?
«Caotica rispetto ai miei tempi. Durante le passeggiate alla riscoperta del centro ho provato a cercare il mio compagno di banco della Manzoni. Non avrei scommesso un penny che abitasse ancora nello stesso condominio di allora, eppure quando vidi il campanello col suo nome mi emozionai parecchio e suonai. Mi rispose proprio lui, che mi scambiò per un piazzista o per un Testimone di Geova. Gli dissi no, sono Andrea il tuo amico delle medie. Finalmente capì chi ero e gli venne un colpo. Non lo sentivo né lo vedevo dal 1971. Se ci fosse ancora la Carrà saremmo finiti nel suo programma “Carramba!”».
Ci può dire chi è il suo amico?
«Lui preferisce di no. È un libero professionista di Udine. Di più non posso, mi dispiace».
Prima mi diceva “ero primario”. È andato in pensione?
«No, me ne sono andato io. Gestivo un reparto di fine vita molto delicato e stava diventando impossibile dire di sì alle direttive folli. E scelsi di mettere il camice nell’armadio. Comunque l’ospedale oggi non esiste più. Un tempo si stava anche bene in Australia, adesso è impossibile. C’è un governo socialista che sta rendendo a tutti la vita difficile. Del resto tutto il mondo è paese. Ah, un’ultima cosa: noi diciamo persone benestanti la pensione non la riceviamo, solamente quelli che sono sotto la soglia di povertà. Uno come me, dunque, deve arrangiarsi. Non lamentatevi troppo in Italia». —
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