Stress sul lavoro in Posta: una dipendente perde la causa e ora deve restituire i soldi del risarcimento

Titoli di coda in Cassazione per una battaglia legale durata 13 anni. Una dipendente dell’ufficio postale di Borgomeduna ha fatto causa alle Poste per ottenere il risarcimento danno biologico di natura psichica lamentato a causa del troppo stress sul lavoro. Il tribunale di Pordenone aveva condannato Poste italiane a corrisponderle 86.498 euro per i danni e 9 mila euro di rimborso per le spese di lite, accertando la responsabilità della società nella causazione dell’infermità psicofisica lamentata dalla dipendente, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile. Nel 2011 le Poste hanno fatto ricorso alla Corte d’appello di Trieste.
In secondo grado la sentenza è stata ribaltata e la dipendente è stata condannata a restituire i soldi. I giudici di secondo grado hanno obiettato che l’infermità non era riconducibile alla violazione di specifichi obblighi di tutela da parte del datore di lavoro, pertanto non aveva diritto al risarcimento. Le Poste avevano offerto alla donna l’impiego in altri uffici e l’organico dell’ufficio postale, secondo i giudici, era del tutto coerente con quello degli altri uffici di analoghe dimensioni. Per la Corte d’appello lo stress lavorativo patito dalla dipendente era connesso ai significativi cambiamenti nelle mansioni e nell’organizzazione seguiti alla privatizzazione delle poste.
La dipendente si è rivolta alla Cassazione, sottolineando come i giudici di appello non abbiano negato che nel suo ufficio si operava in gravose condizioni di carico di lavoro. Nel ricorso la difesa della donna ha osservato come le testimonianze e le perizie mediche provino le conseguenze da lei patite e come le Poste non siano intervenute nonostante le accorate segnalazioni del personale. L’organico era stato ridotto di una unità e c’erano nuove mansioni legate ai prodotti finanziari. L’ex direttore dell’ufficio postale ha riferito di essere rimasto a casa venti giorni per lo stress e che l’intero personale era sotto stress e operava in una condizione inumana. La ricorrente ha obiettato che tali testimonianze sono state ignorate in appello. Il ctu ha acclarato un danno biologico di natura psichica riconducibile ad affaticamento dell’attività lavorativa.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della donna, condannandola al pagamento di 4 mila euro di spese legali: il giudizio di legittimità non è la sede per contestare la ricostruzione dei fatti, la Suprema corte non può procedere a un nuovo giudizio di merito.
Oltre a ciò la Cassazione ha osservato che «la responsabilità contrattuale non è di natura oggettiva, sicché il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente durante il lavoro non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro», ma serve la prova che l’ambiente di lavoro sia nocivo e in questo caso è mancata, nonché «non risulta dimostrato alcun particolare inadempimento da parte del datore di lavoro». —
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