Strumento del diavolo nel Medioevo, ancora oggi sinonimo di sventura: in Italia si celebra la giornata del gatto nero
Da noi la ricorrenza cade il 17 novembre: in tanti pensano ancora (sbagliando profondamente) che porti sfortuna

UDINE. Vederne uno attraversare la strada, che la si percorra a piedi o a bordo di qualche mezzo a molti fa scattare un riflesso incontrollabile: quello di fermarsi, cambiare percorso o appellarsi a una lunga lista di scongiuri. Tutto nel nome di un’abitudine tanto cara a noi italiani: la superstizione.
I gatti neri hanno una cattiva fama in molti Paesi, ma da nessuna parte come nel Belpaese. Un presagio di sventura si usa dire, nel solco di una convinzione secolare, risalente addirittura al Medioevo. Fu infatti una bolla di papa Gregorio IX del 1233 a dar vita alla “leggenda”, dichiarandoli strumenti del diavolo e dando il via a quella che fu una vera e propria persecuzione all’epoca, quando i mici neri venivano gettati nel fuoco per unirsi alle fattucchiere sul rogo.
E anche se la caccia alle streghe è finita da tempo, in tanti pensano ancora (sbagliando profondamente) che i gatti neri portino sfortuna.
La festa italiana
La Giornata del gatto nero è stata istituita proprio per dire basta alle superstizioni legate al loro pelo e celebrare questi gatti che, molto spesso ancora oggi, fanno più fatica ad essere adottati e a trovare una famiglia che li accolga proprio a causa del loro colore. In Gran Bretagna si celebra il 27 ottobre, negli Stati Uniti il 17 agosto, in Italia il 17 novembre è stata stabilita un venerdì 17, non a caso, per riabilitare la reputazione dei gatti neromantati, oggetto di credenze popolari ingiuste e in alcun modo giustificabili.
L’origine della superstizione
In Italia i gatti neri sono associatici alla sfortuna e alla malasorte. Secondo il veterinario Carmelo Maddaloni, l’olocausto del gatto nero e lo scritto del papa derivano da uno dei “superpoteri” di questa specie: la vista notturna. «Come spiegarlo? Almeno superficialmente, porterei questa ipotesi – scriveva qui –. Essendo il mistero un fenomeno di norma associato all’oscurità, si riteneva che le streghe potessero trasformarsi in gatti per percepire il mondo notturno. Questo era già stato oggetto di osservazione da parte di Alessandro di Tralle, che nel trattato “Sugli occhi” scrive: “Perché mai alcuni vedono di giorno e non di notte? Perché”, spiega, “sono in possesso di uno spirito vitale ottico più pesante che non fa vedere l’aria. Di notte infatti l’aria si fa più pesante a causa delle temperature più basse e del sole assente mentre di giorno è più calda e leggera. Essendo dotati di uno spirito vitale ottico più leggero, gatti, iene e pipistrelli vedono meglio di notte che di giorno”. Si tratta di un’ipotesi, ripeto, il terreno di ricerca è completamente aperto. Sia quel che sia, siamo davanti a un documento certo a seguito del quale dai paradisi del culto i gatti precipitano nei penetrali della persecuzione».
Il nero nel resto del mondo
E pensare che altrove non è assolutamente così. In Giappone, ad esempio, il gatto nero è da sempre simbolo di buon auspicio. Nel periodo Edo si pensava addirittura che possederne uno aiutasse a guarire dalla tubercolosi e tenesse lontane le preoccupazioni d’amore.
In Egitto, la divinità Bastet era rappresentata proprio da un sinuoso gatto nero e già ai tempi il felino domestico era tutelato da leggi severissime: per il colpevole volontario di una uccisione era in vigore la pena capitale mentre il dolo involontario veniva punito con una sanzione amministrativa. Le giovani donne egizie portavano amuleti a forma di gatto contro l’infertilità e dopo la morte l’animale veniva anche imbalsamato e sepolto in tombe sacre.
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