Sui muri le frasi più belle dei poeti

Le idee sono raccolte in rete: da Pasolini a Nievo, da Dante a Zardini

UDINE. Di simboli non si vive. Siamo tutti d’accordo. Eppure talvolta ne abbiamo bisogno, anche in questi preoccupanti tempi di smarrimento, di scontento, disimpegno e abulia che feriscono giovani e anziani. I simboli non sono un disegno politico o un lasciapassare per un mondo migliore, però ci piace immaginarli come dei robusti alberi che rendono più bella una strada, magari la strada dell’identità, di un’appartenenza aperta e solidale, orgogliosa delle radici e capace di ascoltare e costruire.

Soltanto così la strada diventerà sicura, pur con le curve e le salite che la vita le impone, gli alberi cresceranno rigogliosi perché avranno radici in una terra buona. Perché «a vegnarà ben il dì che il Friul al si inecuerzarà di vei na storia, un passat, na tradision!».

Folgorante e profetico, il giovane Pier Paolo Pasolini che nel 1944 scriveva questi pensieri nello “Stroligut di ca da l’aga”. È questa è una delle frasi suggerite dal popolo della rete per la pagina dei simboli che si vorrebbe realizzare nella piazza del Friuli. E con Pier Paolo l’amica Novella Cantarutti, con questi versi: «La cjera ’a fuma sul sagrât intôr misdì, e bavi’ sutili’ di buéra a’ si dislèin entri li’ tombi’. ’Na odula ’a monta su, preànt, contra il soreli. E i muàrz a’ la compagnin». Da amica ad amico, Lelo Cjanton ci accarezza così: «Cjampanute lontane di gnot, salacôr ti àn sintude i morârs cu lis fueis dutis lustri di lune; salacôr la me frute ch’e duar ’e respire tun sium la tô vôs dindinante tun àjar lizer».

Le proposte poetiche per i simboli della piazza proseguono, naturalmente, con il sommo Dante, che elegge - ci sia permesso di dubitare - il friulano a lingua: «Post hoc Aquilegienses et Ystrianos cribremus qui “Ce fastu?” crudeliter accentuando eructuant», scrive nel “De vulgari eloquentia”. Il verbo “eructuant” non è certo un complimento! Accanto al Vate, un passo forse meno conosciuto del “Decameron” di Giovanni Boccaccio: «In Frioli, paese, quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine». Invece, un anonimo viaggiatore di 700 e più anni fa così ci descriveva: «Forum Iulii est provincia per se, distincta ab aliis provinciis prenominatis, quia nec latinam linguam habet, nec sclavicam, neque theotonicam, sed idioma proprium habet, nulli italico ydiomati consimile». E non poteva certo mancare Ippolito Nievo, che definisce il Friuli «piccolo compendio dell’universo».

Ci sono poi i versi che hanno ispirato grandi musiche. Pensiamo all’“Inno a San Giovanni Battista” di Paolo Diacono musicato da Guido d’Arezzo. La prima sillaba di ogni verso dà il nome alle note che ancora oggi conosciamo: «UT queant laxis, REsonare fibris, MIra gestorum, FAmuli tuorum, SOLve polluti, LAbii reatum, Sancte Iohannes». Lasciamo il latino del Grande cividalese e passiamo alla marilenghe di “Turo Mulinâr”, Arturo Zardini, il cui “Stelutis alpinis” per molti è l’inno nazionale friulano: «Se tu vens cà sù tas cretis, là che lôr mi àn soterât, al è un splaz plen di stelutis: dal miò sanc ’l è stât bagnât».

Dalla parola ad altri simboli straordinari nella loro efficacia: la scritta “6 maggio 1976”, giorno spartiacque della nostra storia, o il “crismon” di quella chiesa aquileiese che mai ha bruciato un diverso (per fede, razza o cultura). Accanto ad esso il mosaico con l’aquila di Bertrando, il grande patriarca venuto dalla Francia che fu più friulano di tanti friulani. Fra le altre idee troviamo inoltre la fortezza stellata di Palmanova, il “logo” dell’Università e quello delle Frecce tricolori e la formula del pignarûl.

I friulani della rete hanno dato questi suggerimenti per la pagina della loro piazza. Tante altre idee continuano ad arrivare. Ma qui - direte - siamo di fronte a una piccola sbornia di retorica e romanticismo? Forse. Più semplicemente, sono spunti per aprire un dibattito e, magari, una riflessione per capire meglio come eravamo, come siamo e come vorremmo essere noi friulani 2.0. Legati, non imprigionati, da parole e simboli, gente che guarda sì agli alberi, ma prima di tutto alla strada che ha davanti.

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