Svolta nell’omicidio Pedron, caccia al secondo dna

Ex fidanzato fa riaprire il caso e punta il dito su ambienti vicini alla setta Telsen Sao
annalaura pedron
annalaura pedron

PORDENONE. Mentre l’eco degli arresti per il duplice omicidio di via Interna ancora risuona nelle vie della città e tappezza le locandine dei giornali, la Procura di Pordenone affronta un’altra importante inchiesta, che affonda le sue radici nel passato: l’omicidio di Annalaura Pedron, la babysitter strangolata il 2 febbraio del 1988 in un appartamento di via Colvera.

Dopo 28 anni, il caso che sconvolse la città è stato riaperto. Una seconda volta. Il fascicolo, al momento a carico di ignoti, è stato affidato al sostituto procuratore Annita Sorti, che coordina le indagini della squadra mobile della Questura. L’attività investigativa sta proseguendo nel massimo riserbo e potrebbe portare a un altro colpo di scena.

A scoperchiare il cold case è un ex fidanzato della vittima, che ha inviato una segnalazione in Procura. Un esposto dettagliato, che gli inquirenti non hanno potuto ignorare e che porta alla luce nuovi elementi, ora al vaglio degli investigatori.

L’ex fidanzato punta il dito contro ambienti vicini alla setta Telsen Sao, nella quale rimase invischiata, all’epoca, gran parte della Pordenone bene. Su quel milieu, fatto di riti propiziatori e visioni mistiche della quinta dimensione, si erano concentrate inizialmente anche le indagini della polizia. La stessa Annalaura Pedron e il suo compagno avevano fatto parte di Telsen Sao, come molti altri protagonisti sfiorati e poi usciti dall’inchiesta. Ma la pista investigativa, allora, era finita in un vicolo cieco.

Finché, nove anni orsono il caso era stato riaperto grazie al lavoro dell’allora commissario Massimo Olivotto e dal procuratore della Repubblica Luigi Delpino che ebbero l’intuizione di riesaminare i reperti alla luce delle nuove tecnologie applicate alle indagini, come il test del dna. Attraverso le tracce di sangue raccolte sulla scena del crimine fu identificata una persona.

Il delitto nel 1988, lavorava come baby sitter

Nel maggio del 2008 il profilo genetico venne ricondotto a David Rosset, che all’epoca dell’omicidio aveva 14 anni, figlio di un appartenente alla setta. Ormai trentaquattrenne e impiegato in un negozio di informatica, venne convocato in Questura e indagato.

Il processo in primo grado, celebrato al tribunale dei minorenni di Trieste, si concluse il 25 giugno del 2011 con una sentenza con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Quattro anni dopo, la Corte d’assise d’appello riformò la sentenza e assolse David Rosset perché non era imputabile all'epoca dei fatti.

Annalaura, babysitter irretita dalla setta

Già nel corso del processo d’appello si era parlato di un secondo profilo genetico maschile rinvenuto nell’appartamento teatro dell’efferato delitto. La difesa dell’imputato aveva chiesto l’acquisizione dei documenti della Procura di Pordenone che, l’anno prima, aveva aperto un fascicolo per risalire all’identità del secondo dna trovato nell’appartamento di via Colvera. L’ipotesi della difesa era che la responsabilità dell’efferato delitto potesse essere ricondotta a un altro volto, rimasto, fino a quel momento nell’ombra.

Sulla scena del crimine – fortemente inquinata dagli stessi soccorritori – erano state trovate tracce biologiche di un secondo profilo genetico, dal quale potrebbero emergere ora retroscena inediti di quel delitto. Si tratta di un dna parziale, che i consulenti nominati dal pm stanno esaminando in laboratorio. Il materiale biologico recuperato, tuttavia, è sufficiente per arrivare a un’identificazione.

Cosa nasconde quel dna? Il volto dell’assassino o di un suo complice? Saranno gli accertamenti disposti dalla Procura a dare una risposta.

Se il secondo dna maschile appartenesse a un maggiorenne, come pare probabile, farebbe decadere la prescrizione, qualora fosse accertata un’eventuale responsabilità nel delitto del secondo uomo misterioso.

La macchina della giustizia si è rimessa in moto, nove anni dopo la prima svolta, riaccendendo così le speranze della famiglia. Anche se, dopo quasi trent’anni, la ricostruzione della vicenda si imbatte in molti ostacoli.

Non ultimo la scomparsa, per l’età avanzata, di molti testimoni dell’epoca. Eppure negli ambienti investigativi si respira oggi quel fermento che è spesso preludio di risultati concreti e che si oppone all’oblio.

Nessuno ha dimenticato Annalaura. Anzi. È con rinnovato impegno che la Procura si sta mettendo sulle tracce di una soluzione, forse inedita, dell’efferato omicidio.

Due anni fa, nel giorno dell’anniversario della morte di Annalaura, la madre scrisse una lettera toccante. Animata non solo dalla sete di giustizia, ma dal bisogno di conoscere il perché di una morte così atroce che le aveva strappato la figlia a 21 anni. All’alba di quel crudele 2 febbraio di 28 anni fa.

«Vorrei si sapesse – le parole di Paola Zamuner –, vorrei che qualcuno si preoccupasse di mettere mano fra i meandri di detta “giustizia”: un buco nero in cui ti trovi immerso, impotente». Quell’appello accorato è stato raccolto.

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