Tampone fai da te per rilevare i positivi: ecco chi sono la ricercatrice e il chimico friulani che hanno scoperto come testare la saliva

Il racconto dei due studiosi: «Mancavano reagenti, abbiamo cercato un’altra strada»
I due ricercatori friulani Michela Bulfoni ed Emanuele Nencioni
I due ricercatori friulani Michela Bulfoni ed Emanuele Nencioni

UDINE. «Appoggio al labbro una provetta sterile e faccio cadere dentro un po’ di saliva. Nella provetta c’è un millilitro e mezzo della sostanza liquida brevettata dalla Biofarma per conservare e trasportare il campione in laboratorio. Rispetto al tampone nasofaringeo cambia la sostanza e la modalità di prelievo del materiale da analizzare». Il timbro di voce lascia trasparire la determinazione che ha spinto Michela Bulfoni, 32 anni di Codroipo, laureata in Biotecnologie all’università di Udine, oggi assegnista di ricerca e specializzanda in Patologia clinica, a trovare la scorciatoia per arrivare a un tampone fai da te, meno invasivo, anche se il metodo diagnostico resto lo stesso.

In Friuli Biofarma, università e ospedale si inventano il tampone salivare: ecco come funziona

È stata lei, assieme a Emanuele Nencioni, 49 anni, nato a Piacenza e residente a San Daniele, laureato in Chimica all’università di Parma e direttore del laboratorio della Biofarma di Mereto di Tomba, ad avere l’intuizione destinata a cambiare il processo di individuazione del coronavirus. Rispetto al tampone nasofaringeo, il salivale viene effettuato e processato allo stesso modo, «cambiano – ripete Bulfoni – la sostanza usata per trasportare e conservare il campione e la modalità di prelievo che risulta meno invasiva rispetto all’introduzione dello scovolino nel naso e nella gola.

Bulfoni svolge attività di ricerca nel gruppo di Anatomia patologica di cui fa parte da molti anni, conosceva da tempo la Biofarma e le sue possibilità. «Quando il direttore sanitario ha chiesto al presidente del gruppo, Germano Scarpa, se la sua azienda era in grado di produrre una soluzione per tamponi che, all’epoca, non si trovava più sul mercato, è stato chiesto a me e al dottor Nencioni di collaborare per analizzare i limiti del tampone nasofaringeo».

Partire dai limiti del test in commercio è stato un passaggio obbligato perché, come spiega Nencioni, la Biofarma non era in grado di produrre la sostanza richiesta dal tampone tradizionale. Di fronte a quell’impedimento il pensiero unico è stato: «Proviamo a fare qualcosa di diverso. Uniamo – queste le parole di Nencioni – le nostre competenze biologiche e chimiche e guardiamo oltre». Il binomio Bulfoni-Nencioni ha presto dato i suoi frutti: le prove in vitro erano confortanti e con il suggerimento del direttore dei Dipartimento di medicina di laboratorio dell’Azienda sanitaria-universitaria Friuli centrale (Asufc), il professor Francesco Curcio, la ricerca si è indirizzata verso l’utilizzo della saliva come campione da analizzare. All’intuizione è seguita l’attività di ricerca durata qualche mese prima di brevettare la sostanza i cui componenti non vengono rivelati.

«La differenza sta nel liquido e nel materiale raccolto». La ricercatrice ripete più volte questo concetto per rimarcare che i tempi e i modi del processo seguito in laboratorio restano gli stessi dei più tradizionali tamponi nasofaringei. «Il tampone salivare non accorcia l’attesa della risposta, il risultato è disponibile sempre negli stessi tempi» chiarisce Bulfoni elencando i vantaggi del nuovo metodo che consente a ognuno di noi di effettuare il prelievo in autonomia. L’esame è meno invasivo perché non viene più inserito lo scovolino in gola e nel naso. «Basta appoggiare la provetta al labbro – ripete Bulfoni – e far colare qualche goccia di saliva all’interno». Al paziente viene consigliato di trattenere in bocca per qualche secondo la saliva così riesce a produrne di più.


«La saliva contiene una quantità maggiore di materiale rispetto al campione nasofaringeo. La quantità di materiale prelevata per il tampone nasofaringeo è operatore-dipendente, mentre il salivare no». Detto questo la ricercatrice spiega perché, finora, la saliva non è stata presa in considerazione: non è stato fatto perché i prodotti in commercio hanno dato i risultati sperati. «La saliva è ricca di enzimi, che rendono più facilmente degradabile il virus. Da qui la necessità di disporre di una sostanza in grado di inattivare gli enzimi e di stabilizzare l’Rna del virus. Rispetto ai tamponi positivi effettuati secondo i canoni tradizionali, il test salivare risulta più sensibile circa del 10 per cento.

La validazione del procedimento è in corso, «stiamo testando il test in sorveglianza sanitaria» sottolinea Bulfoni nel ricordare che, come avviene per gli studi clinici, anche il tampone con la saliva va testato su un gruppo di persone sane. Bulfoni, ieri, era a Paularo per recuperare i campioni di saliva raccolti tra i cittadini coinvolti nello screening di massa. Anche a loro ha spiegato che il tampone con la saliva non ha nulla a che vedere con il più noto test salivare che lavora come un test di gravidanza: la saliva viene raccolta con tampone che viene fatto reagire su una striscetta che, a sua volta, provoca una reazione. «Noi – insiste la ricercatrice – cerchiamo l’Rna su un campione di saliva».

«L’obiettivo è arrivare nel minor tempo possibile alla commercializzazione del nuovo prodotto». Nencioni è fiducioso e auspica che la validazione possa essere raggiunta in tempi rapidi anche se il processo richiede una serie di passaggi obbligati. La commercializzazione è l’ultimo anello del percorso che si concluderà con la distribuzione del tampone salivare «in scatole contenente 50 provette. L’abbiamo pensata – puntualizza il direttore del laboratorio della Biofarma – per facilitare l’attività ospedaliera anche se questo non ci impedirà di pensare a confezioni più adatte per l’uso individuale». L’arrivo delle confezioni sul mercato non concluderà il processo innovativo avviato alla Biofarma perché, come ripetono i ricercatori, siamo di fronte a un work in progress e il “cantiere” resta aperto.

In queste ore, infatti, prosegue la raccolta dei campioni salivari che saranno processati nel laboratorio del Dipartimento dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, diretto dal professor Curcio. Il tampone con la saliva rappresenta un esempio di collaborazione tra pubblico e privato che favorisce il trasferimento delle conoscenze scientifiche sul territorio. «La cosa più importante – conclude Nencioni – è che questo metodo, non richiedendo la presenza degli operatori sanitari, riduce i rischi di contaminazione tra i medici e gli infermieri». E non è poco vista la mancanza di questi professionisti, una mancanza che ha già mandato in affanno anche il sistema sanitario regionale.


 

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