Teatro Verdi di Pordenone: il tramonto della “galleria degli orbi”
PORDENONE. Aperta solo per i grandi eventi. Perché quei posti, nonostante i lavori di restyling, non sono vendibili senza “accortezze”. La terza galleria del teatro Verdi – una sessantina di posti in un teatro che sulla carta dichiara di averne 936 (a cui si aggiungono i 145 del ridotto e i 99 dello “spazio 2”, usati per piccole rappresentazioni o conferenze) – sconta ancora gli errori della sua edificazione, quelli che nel 2005 (anno di inaugurazione del teatro) evidenziarono che molti posti sembravano destinati solo a un pubblico di non vedenti. Perché la curvatura dell’immobile portava a guardare in faccia gli spettatori dall’altra parte della galleria, invece che il palcoscenico.
L’allora sindaco Sergio Bolzonello, dopo l’inaugurazione, pretese e ottenne (a carico dell’appaltatore) dei lavori – anche in platea – per recuperare parte dei posti, ma in terza galleria il problema non si è risolto. E così la strategia, più che comprensibile, di chi gestisce l’ente (un consiglio di amministrazione espressione dell’associazione Teatro Verdi e la direttrice Emanuela Furlan) è quella di vendere prima i posti migliori per il pubblico e aprire la terza galleria solamente quando l’affluenza è quella dei grandi eventi.
E così chi prenota i biglietti on line – basta fare una prova con la serata di esordio dedicata alla raccolta fondi per il Cro – può acquistarli solamente nelle prime due gallerie. «Diciamo che anche la politica di vendita è orientata ad offrire prima di tutto agli spettatori i posti migliori – dice diplomaticamente il presidente Giovanni Lessio -. Ma quando ci sono grandi eventi come stasera (ndr ieri sera il concerto di Fabrizio Bosso e Nina Zilli), allora si mette a disposizione anche la terza galleria».
E chi compra quei biglietti direttamente in teatro, di solito, viene avvertito che la visuale non è propriamente ottimale. Ragione per cui anche i prezzi degli ingressi sono molto economici. Se per i concerti il problema è relativo visto che è l’orecchio il primo a dover essere soddisfatto – lo sanno i melomani che in teatri come La Scala fanno la fila anche per i posti in piedi, in “piccionaia” – per la prosa quei posti diventano pressoché off limits.
Il deficit strutturale non ha comunque fermato il crescendo di pubblico che il teatro ha fidelizzato negli anni, grazie a programmi di qualità, ma nemmeno i costi finali dell’opera. Il principale cantiere della giunta Bolzonello – che aveva ereditato dalla giunta Pasini un progetto oggetto di contenzioso - secondo le stime del 2000 (delibera 503) sarebbe dovuto costare 19 milioni di euro, ma dopo modifiche e adeguamenti, è lievitato di circa 7 milioni rispetto al preventivo: 26,9 milioni il conto finale e ben sette interventi configurabili come “maggiori lavori conseguenti alla perizia di variante”.
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