Tenta di suicidarsi con la pistola ma l’arma era illegale: a processo

Ha tentato di farla finita sparandosi un colpo alla tempia con una pistola tipo revolver risalente alla seconda guerra mondiale in uso alle forze britanniche. Ma una volta sopravvissuto a quell’insano gesto, è finito davanti al giudice con l’accusa di detenzione illegale di armi non dichiarate.
Le vicende umane hanno sempre due chiavi di lettura. La storia di un 53enne residente nell’area Gemonese che nell’ottobre del 2017 fu ricoverato in gravissime condizioni nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Udine con una ferita da arma da fuoco al capo è finita bene perché, a un anno da quei fatti, l’uomo gode di buona salute e si è rimesso da quel terribile evento. Peccato che gli strascichi giudiziari siano tutt’altro che positivi per lui, visto che il gup del tribunale di Udine Daniele Faleschini Barnaba, ieri, lo ha rinviato a giudizio con l’ipotesi di reato di detenzione illegale di armi. Il processo a suo carico sarà celebrato dinanzi al giudice Giulia Pussini il 16 gennaio 2019.
Era la sera del 19 ottobre 2017, quando una pattuglia dei carabinieri di Tolmezzo venne chiamata a intervenire in un’abitazione per un tentato suicidio. A segnalare l’accaduto alle forze dell’ordine e al personale sanitario era stata una donna che aveva trovato il suo compagno riverso sul divano con il sangue alla tempia destra, dove era stato colpito da un proiettile. L’episodio venne rubricato come tentato suicidio. Ad avvalorare quell’ipotesi c’era il fatto che i rapporti all’interno della coppia si erano piuttosto deteriorati negli ultimi tempi e le liti si susseguivano; l’ultima di queste risaliva a poco prima dei fatti. Ma i guai sono iniziati proprio da quell’arma, una pistola tipo revolver calibro 38 a sei colpi demilitarizzata, in uso alle forze britanniche durante il secondo conflitto mondiale, che non risultava da nessun documento e di cui l’uomo non ha mai giustificato il possesso.
«In realtà il mio assistito – è la precisazione dell’avvocato Gina Mauro che rappresenta l’imputato – sostiene di non aver mai posseduto quell’arma e di non averla mai vista fino al momento in cui, su disposizione della Procura, non è stata disposta una perizia. E del resto su quell’arma non sono state trovate le sue impronte digitali, circostanza questa che verrà approfondita in fase di dibattimento».
Il legale non intende rompere il riserbo sui contenuti della strategia difensiva che sarà impostata in fase processuale.
«Abbiamo auspicato – aggiunge – di poter chiarire a 360 gradi questa vicenda in sede di dibattimento, che secondo il mio assistito è decisamente più ampia e complessa di quanto ipotizzato negli atti di indagine». —
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