Terremoto a Tolmezzo: la sala operatoria allestita al piano terra del nosocomio
«L’ospedale è inagibile tranne il piano terra». Se non fosse stato per questa frase scritta in extremis dall’ingegnere della Protezione civile su suggerimento dell’allora presidente facente funzioni dell’Azienda sanitaria che, a sua volta, aveva avuto come suggeritore il professor Francesco Vasciaveo, primario del reparto di Ortopedia, l’ospedale di Tolmezzo dopo il terremoto del 1976, sarebbe rimasto senza sala operatoria.
A raccontare l’aneddoto è lo stesso Vasciaveo spiegando come un eccesso di sicurezza o di burocrazia avrebbe potuto bloccare l’attività sanitaria nella struttura nuova e antisismica.
Ma torniamo al 6 maggio 1976. Le scosse di terremoto distrussero il Friuli. Quella sera, Vasciaveo era nella sua casa di Udine e il suo pensiero andò subito ai pazienti e all’emergenza in corso.
Tentò di raggiungere Tolmezzo, ma a Rivoli Bianchi la strada era interrotta. Provò a deviare verso Cavazzo Carnico e anche qui era tutto bloccato. Si rassegnò e tornò indietro.
«Alle 5 del giorno successivo - racconta il primario - riuscii ad arrivare a Tolmezzo e trovai il mio collega che quella notte era di guardia con tutti i pazienti al piano terra. Aveva affrontato da solo la complicata discesa di sei piani». Il caos era tale che «un paziente, caduto dal letto, rimase tutta la notte al sesto piano sul pavimento che continuava a tremare».
Dopo una serie di sopralluoghi, «i tecnici della Protezione civile diedero disposizione di selezionare i pazienti che si potevano tenere lì e di trasferire a Udine quelli che avevano bisogno di cure più complesse», ricorda Vasciaveo soffermandosi sul momento successivo in cui gli stessi tecnici dissero che «l’ospedale di Tolmezzo non era più agibile» e quindi bisognava trasferire tutti i pazienti a Udine.
Si trattava di una decisione drastica che preoccupò non poco i sanitari proprio perché «la struttura era stata costruita e collaudata da poco seguendo le norme antisismiche. Lo confermava il fatto che all’interno dei reparti erano lesionati solo i muri di tamponamento».
Insomma, quella decisione, in quel particolare momento quando centinaia di feriti continuavano ad arrivare in tutti gli ospedali della regione, sembrava davvero eccessiva.
«Ebbi un colpo di genio - ammette Vasciaveo - e riuscii a convincere il presidente facenti funzioni del quale non ricordo il nome, ad affrontare la questione con l’ingegnere della Protezione civile».
Fu proprio il primario a suggerire la dicitura «edificio inagibile tranne al piano terra». Al presidente va il merito di essere stato convincente.
L’ingegnere scrisse quella dicitura e, con il senno di poi, sorride anche Vasciaveo perché, in quel modo, riuscì a organizzare una sala operatoria al piano terra, a fianco della Radiologia, facendo passare dallo scantinato i tubi del gas.
«Grazie a quella dicitura, funzionava tutto. Avevamo la sala operatoria, la radiologia e il laboratorio d’analisi che ci consentivano di effettuare anche interventi ambulatoriali complessi». Il primario non ha mai dimenticato quella pagina di storia che per molti fu una vera e propria lezione di vita.
«La gente - insiste Vasciaveo - voleva curarsi a Tolmezzo. Potè farlo grazie alla Croce rossa della Baviera. Gli austriaci ci donarono le baracche che montammo nell’area antistante al ospedale.
I pazienti venivano ricoverati nelle baracche e sottoposti a intervento chirurgico nella sala operatoria allestita al piano terra del nuovo edificio.
Basti pensare che la scossa del 15 settembre sorprese Vasciaveocon la sua équipe proprio in sala operatoria: «La cosa più difficile fu liberarsi dal fumo che si sollevava, soprattutto nei corridoi, dai giunti che univano le pareti. I giunti si muovevano e da quelle micro fessure si sollevava un polverone. Fortunatamente non ci fu alcuna infezione».
Ma nonostante ciò, non fu affatto facile convincere la mamma di un bambino con un piede deformato che il figlio non poteva essere operato perché la sala operatoria era inquinata. «La signora rimase molto male, era arrivata da Tarvisio e non accettava il rinvio dell’intervento».
La situazione non fu certo facile neppure per i sanitari che si trovarono a gestire un periodo «impossibile da dimenticare», sottolinea il primario di Ortopedia arrivato due anni prima nel nosocomio del capoluogo carnico.
«Nei giorni successivi al disastro, fummo costretti a intervenire su un numero di lesioni che avevamo sottostimato - ammette - anche perché molte persone non presero in considerazione subito le ferite e i traumi». Tra questi il paziente che dormendo in auto con il ginocchio appoggiato sulla leva del cambio si ritrovò con il nervo paralizzato.
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