Terremoto, il giudice Faleschini Barnaba: «Crollò un cornicione e la mia gamba restò paralizzata»

Il giudice di Udine racconta il dramma del 6 maggio «Vivevo a Buja, sbagliai a uscire di casa. Ho sempre sognato di tornare a correre»
ANTEPRIMA Udine 7 NOVEMBRE processo udinese
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BUJA. Quando è il corpo, oltre che l’anima, a portare i segni di una tragedia, il tempo assume una dimensione diversa. Lo sa bene Daniele Faleschini Barnaba, giudice del Tribunale di Udine, che la sera del 6 maggio, a Buja, venne colpito da un pezzo di cornicione e la sua gamba rimase paralizzata per sempre.

Nel 1976, Faleschini Barnaba era solo un ragazzo, non aveva ancora compiuto 11 anni, e per lui non fu facile accettare di non poter più correre o sciare sulle piste innevate.

«Il 6 maggio di quarant’anni fa - racconta Faleschini Barnaba - era una giornata già triste per noi. L’indomani avremmo commemorato il primo anniversario della morte di mio padre. Alle 21, mi trovavo nella casa di famiglia che sorgeva di fronte al duomo di Buja, assieme a mia madre e ai nonni materni. Ricordo che la prima scossa fu forte ma breve. Spaventati, uscimmo subito in giardino: fu questa, per me, la scelta fatale».

La grande casa di inizio Novecento, infatti, dove la famiglia Faleschini Barnaba abitava, resse al terremoto, anche se i danni che riportò ne imposero successivamente la demolizione. «Purtroppo - prosegue il giudice - quando arrivò la seconda scossa eravamo ancora troppo vicini al muro esterno.

Fu un’ingenuità dettata dalla mancanza di tempo e, forse, dall’essere impreparati ad affrontare una situazione simile. La terra prese a tremare così forte che era del tutto impossibile muoversi. Se chiudo gli occhi, è ancora vivo in me il ricordo della “pioggia” di tegole e grossi pezzi di cornicione che cominciò a cadere dall’edificio. Fu proprio uno di quei pesanti oggetti a colpirmi sul fianco, mentre, verosimilmente, mi trovavo già a terra».

Del momento esatto del dramma Faleschini Barnaba conserva ricordi confusi, anche se non può dimenticare il buio improvviso, le grida e l’odore di polvere e muffa. «Mi raccontarono che mia madre, quando mi vide, si precipitò in garage, nonostante questo fosse pericolante, a prendere l’auto.

La corsa verso l’ospedale di Udine fu disperata. Fortunatamente imboccammo la Pontebbana, anziché la solita strada per Colloredo, che scoprimmo poi essere interrotta. Se mia madre non avesse preso quella decisione sarei morto». Quando arrivarono al Santa Maria della Misericordia le condizioni di Daniele erano critiche.

Il trauma gli aveva provocato uno schiacciamento del bacino, della colonna vertebrale e degli organi interni, inoltre, aveva perso molto sangue e non muoveva più le gambe. Fu operato d’urgenza per un’emorragia intestinale, che stava per portarselo via, e i sanitari intervennero, per quanto possibile, anche sulla gamba destra, fratturata in più punti.

«I medici dell’ospedale di Udine fecero l’impossibile per salvarmi, ma a causa dei gravi traumi la mia gamba sinistra restò completamente paralizzata. Trascorsi un paio di mesi a Udine, poi, quando le mie condizioni si stabilizzarono, venni trasferito a Brescia, dove rimasi ricoverato ancora per un anno.

Come gli appassionati di radio salvarono molte vittime del terremoto in Friuli

Lì a operarmi, per tentare di riparare i danni che avevo subito a livello sotto midollare, fu il professor Giorgio Brunelli, allora giovane primario, poi diventato un luminare della microchirurgia.

Il suo intervento mi permise di ottenere progressi notevoli rispetto alla disperata situazione di partenza, ma essi restarono sempre insufficienti a paragone delle mie ingenue aspettative di un “miracolo” che mi permettesse di tornare a correre sui campi di calcio e a sciare sulle piste innevate».

Eppure, se chiediamo al giudice come abbia fatto a superare tutta quella sofferenza, quei lunghi mesi di ospedale e di incessanti terapie, Faleschini Barnaba risponde con disarmante semplicità: «Non so nemmeno io come ci sia riuscito.

La vita ti impone di andare avanti, sembra banale ma è così. Ho affrontato una giornata alla volta, di più era impossibile. Mia madre e mia nonna, entrambe maestre, fin da subito mi spronarono a concentrarmi sullo studio, permettendomi di non perdere l’anno. In fondo, non erano molte le cose che potessi fare per impiegare il mio tempo».

Di certo, la forza d’animo non è mai mancata a Faleschini Barnaba, che nel giro di pochi anni si vide portar via anche il nonno e la mamma e restò, giovanissimo, da solo con la nonna.

L’enorme affetto di parenti e amici, che gli stettero accanto fin dai duri mesi a Brescia, assieme alla dedizione che seppe mettere nei suoi studi, gli permisero di ricominciare a vivere.

Oggi, il giudice guarda a quei giorni con tristezza ma, da tempo, ha smesso di chiedersi il perché di tanto dolore: un quesito che tormenta tutti coloro ai quali il sisma non portò via solo la casa, ma al quale nessuno, però, potrà mai rispondere.

 

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