Terremoto, l'appello degli ex sindaci e regionali: subito un piano sicurezza

Solo nella zona terremotata si contano 25 mila edifici non antisismici «Conserviamo la memoria, cataloghiamo l’archivio della ricostruzione»  

UDINE. Anche nel Friuli ricostruito dopo il terremoto, almeno 25 mila edifici non sono antisismici. A questi vanno aggiunte tutte le costruzioni presenti nelle zone classificate sismiche dopo la ricostruzione. Al solo pensiero che il sisma è un fenomeno imprevedibile, il dato spaventa e non poco.

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Non a caso le associazioni dei consiglieri regionali e dei sindaci del terremoto, presieduti rispettivamente da Dario Barnaba e Fabio Di Bernardo, collocano al primo posto del documento indirizzato al Parlamento, al Governo e alla Regione, gli interventi per l’antisismica.

Lo considerano un tema di grande peso non solo in Friuli Venezia Giulia, ma in tutta Italia. Chiedono infatti un Piano straordinario di interventi da realizzarsi gradualmente all’interno del territorio sismico italiano. Un Piano articolato su più anni, 30, 40 anche 50 anni, che si regga su procedure tecniche e amministrative semplificate, in grado di rendere obbligatorie l’applicazione delle norme antisismiche per le nuove e per le vecchie costruzioni quando, queste ultime, saranno oggetto di interventi di ristrutturazione. Allo stesso modo, il Piano deve prevedere un’attenta vigilanza e agevolazioni fiscali.

«Gli interventi di consolidamento statico fatti in Friuli nel post-sisma, non coprono compiutamente tutte le esigenze», ha spiegato l’ex assessore regionale alla Ricostruzione, Roberto Dominici, spostando l’attenzione sulle «zone classificate a rischio sismico extra area terremotata e sugli immobili situati nella zona terremotata non oggetto di intervento post-sisma». Questi due gruppi comprendono pure gli immobili ristrutturati con i fondi stanziati dalla legge 17 sopraffatta dalla legge 30 dopo le scosse di settembre 1976. Il quadro tracciato, ieri, da Dominici giustifica l’adiozione anche del Piano regionale, ad articolazione pluriennale, da redigere a prescindere da quello nazionale.

In questo contesto si inserisce l’università con il suo cantiere Friuli. Una cosa è certa: «Il Piano antisismico - ha evidenziato l’ex consigliere regionale Giorgio Cavallo pensando al progetto “Casa Italia” - può trasformarsi in una ripatrimonializzazione degli immobili esistenti».

Ultimo, ma non per importanza, il tema della divulgazione del modello Friuli. Un compito che spetta, e su questo il vice presidente dell’Associazione dei sindaci del terremoto, Franceschino Barazzutti non ha dubbi - al museo Tieremotus di Venzone. «Dopo il quarantennale, Tieremotus resta il lumicino che tiene acceso, ogni giorno, la memoria e il sapere del terremoto». Barazzutti ha ricordato, infatti, che il museo si compone anche del Centro di documentazione del sisma e della ricostruzione, con migliaia di progetti dei meglio noti articoli 8 (il patrimonio vincolato), altrettanto materiale fotografico e le oltre 1.600 schede recuperate nei comuni colpiti dal sisma. Senza contare che qui troverà spazio pure l’archivio del commissario straordinario all’emergenza, Giuseppe Zamberletti.

«Dopo di noi - ha aggiunto Barazzutti elencando i tentativi falliti di esportare il modello Friuli - questa esperienza non deve venir meno». Il timore, però, è che la Regione, nonostante le diverse promesse fatte finora, dimentichi l’archivio del terremoto riunito in migliaia di cartelle, nel deposito di Gradisca d’Isonzo. Non a caso il presidente dell’Associazione consiglieri regionali, Dario Barnaba, ha ricordato che dai tempi del governatore Illy, l’associazione sta chiedendo di catalogare quel materiale.

E se a un certo punto, a Trieste era emerso uno scarso interesse nei confronti del progetto, lo scorso settembre la giunta Serracchiani si è resa disponibile ad avviare la catalogazione dei documenti. «Ci siamo resi subito disponibili, gratuitamente, a dare il nostro contributo per identificare le modalità della catalogazione, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta», ha spiegato Barnaba ricordando che due mesi fa, a Venzone, l’assessore alla Pianificazione territoriale, Mariagrazia Santoro, ha ribadito lo stesso impegno, ma ancora non è successo nulla».

Barnaba non ha dubbi: «Quel patrimonio tecnico e documentario, parte fondamentale della storia del Friuli, proprio perché è un’asse portante di tutte le operazioni effettuate nel dopo terremoto, meriterebbe maggiore attenzione. Chiediamo - ha concluso - che si faccia in tempi brevi». I faldoni contengono documenti che confermano la partecipazione popolare e il valore della democrazia che gli ex amministratori vogliono ripristinare. L’obiettivo è trasmettere alle nuove generazioni la memoria della ricostruzione del Friuli terremotato.

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