Terremoto su Veneto Banca, ecco le intercettazioni: "Dobbiamo tollerare quei due imbecilli..."

TREVISO. Per quasi vent’anni, dal 1997 fino alle dimissioni del luglio 2015, Vincenzo Consoli è stato il padre padrone di Veneto Banca.
Il “dominus” secondo la definizione dei pm di Roma, secondo i quali però la sua influenza su dirigenti e grandi azionisti non sarebbe cessata dopo la sua formale uscita di scena. Dall’analisi delle mail e delle intercettazioni telefoniche, per i giudici «sussiste il rischio che lo stesso possa continuare a esercitare pressioni su persone fisiche espressione di quote di capitale da lui stesso costituito nonché su taluni dirigenti e dipendenti bancari a lui storicamente vicini».
Il grande capitale. Nelle telefonate intercettate dagli inquirenti emergono le strategie di Consoli per affievolire le attenzioni degli organi di vigilanza e i giudizi, spesso poco lusinghieri, su chi ha preso il suo posto alla guida della banca. Il 19 febbraio 2015 il manager parla al telefono con Luigi Rossi Luciani, membro del cda.
Consoli: «Per il bene dell’azienda bisogna ritornare al vecchio contratto che diceva che io ad aprile 2016 lascio. E quindi trovare, non so se Carrus o un altro, per fare il direttore. Se avete bisogno di una mano, come contratto di consulenza, per gestire il grande capitale, perché comunque è un grande capitale che conosco io, che posso gestire io, mi farete un contratto di consulenza esterno alla banca in modo tale che non possa creare disagi rispetto alla Banca d’Italia e la Bce».
Rossi Luciani: «Il mio pensiero è che la cosa non mi piace. E che comunque se vai a casa tu vanno a casa anche il presidente e il vicepresidente».
C.: «Sì ma dopo, dovete mandarli via dopo. Dopo li mandate a casa... Per il bene della banca, perché se fosse per questi due dovremmo metterli già a casa da stasera».
R. L.: «Eh, eh, dovremmo metterli..».
C.: «Io ti parlo da fratello, penso sia la soluzione buona per la banca... Tu sai che io ho sempre detto che bisogna fare un passo indietro... Quindi dovremmo dire agli amici di non creare casino e di tollerare ancora questi due imbecilli che sono il presidente e il vicepresidente». (Favotto e Vardanega).
E in una conversazione del 7 febbraio 2015 con Riccardo De Fonzo, responsabile della Direzione capitale sociale e comunicazione istituzionale, Consoli discute delle possibili alleanze nei futuri assetti della banca.
C.: «Noi abbiamo Federico (Tessari), Cristina (Rossello), Maurizio (Benvenuto) e Rossi sicuri, loro mettono anche Graziano (Visentin) sicuro e siamo a cinque».
D. F.: «Bolla scade, perché Bolla non so da che parte stia».
C.: «Allora dato che scadono devono sapere che se per caso si va in lotta io sono neutro.. Sono amico di Franco, ma come istituzione devo stare fermo».
E in una successiva conversazione con Maurizio Benvenuto, altro membro del cda, Consoli, riferendosi all’allora presidente Favotto, conclude: «...Dobbiamo riprendere in mano noi... Non è l’uomo che può guidare la banca».
«I nostri investimenti». Gli ispettori della Consob avevano poi trovato una mail del gennaio 2015 scritta da Giovanni Schiavon, oggi vicepresidente di Veneto Banca, scritta ad alcuni esponenti dell’istituto tra cui anche Consoli: «La riforma delle banche popolari avrà probabilmente un grande impatto su Veneto Banca e sulla futura consistenza dei nostri personali “investimenti”...
E allora mi, e vi, chiedo: non sarebbe stato forse utile costituire l’associazione Soci di Veneto Banca come vi avevo proposto circa un anno fa? L’associazione avrebbe potuto difendere l’interesse dei soci molto più di quanto sia ora possibile; mi pare inutile spiegarne le ragioni. Siamo stati troppo titubanti (anche perché molti, non so perché, si sono messi contro). Facciamo ancora a tempo? Ritenete ancora utile che i soci si avvalgano di questo strumento? Riflettete e, se del caso, parliamone».
Le operazioni azionarie. Dalle intercettazioni emerge anche, secondo i pm, le pressioni esercitate a cascata dai vertici dell’istituto di Montebelluna per piazzare alla clientela azioni di Veneto Banca. In particolare nell’ordinanza viene citato Marco Maffei, capo area di Milano, secondo il quale Consoli lo avrebbe esortato così: «Cazzo, sulle azioni non state facendo niente».
E di fronte alle proteste dei soci che vogliono liberarsi delle azioni, l’ex amministratore delegato ha un’idea precisa su come comportarsi: «Se uno ha bisogno di soldi glieli finanziamo, cioè gli facciamo un prestito. Invece di smobilizzarle ti faccio un prestito anche a tassi molto bassi. Se invece è soltanto un problema di paura davvero non so cosa farci. Questa è la situazione: di fronte alla paura c’è la borsa, di fronte alla necessità c’è il finanziamento».
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