Terza ondata di Covid, Brusaferro: "Il rischio c'è se non rispettiamo le precauzioni e la distanza, i 21 parametri funzionano"

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ROMA. «I 21 indicatori sono affidabili e per ventisei settimane ci hanno guidato correttamente». Il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, Istituto superiore di sanità, difende il meccanismo del monitoraggio che regola il semaforo delle chiusure e delle aperture regionali. Anche se “apre” a qualche correttivo richiesto dalle Regioni. A cominciare, in accordo con l’Unione europea, dalla possibilità di accertare il contagio con il solo tampone rapido, senza poi l’obbligo di sottoporsi anche a quello molecolare.
Professore, le Regioni chiedono di semplificare il sistema di monitoraggio riducendo da 21 a 5 gli indicatori che poi decidono chiusure e aperture nei loro territori. Si può fare?
«Mi faccia prima dire che da parte delle Regioni c’è sempre stato un impegno enorme nel raccogliere i dati e renderli disponibili. E devo dire che per completezza sono superiori a quelli di tanti Paesi che prendiamo come punto di riferimento. Venendo al nocciolo della domanda va chiarito che i 5 indicatori dei quali parlano le Regioni, la percentuale dei tamponi positivi, l’Rt, il tasso di occupazione dei posti letto nelle terapie intensive e nei reparti di medicina e le risorse destinare al contact tracing, sono già compresi nel monitoraggio. Gli altri indicatori vanno a completare proprio quei cinque. È un punto di forza del sistema di sorveglianza».
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Ma i governatori e qualche scienziato sostengono che con così tanti casi giornalieri sia impossibile raccogliere tutte quelle informazioni…
«In realtà si è scelto di utilizzare tutti quegli indicatori perché proprio nelle emergenze è più alto il rischio che i dati risentano del sovraccarico dei sistemi sanitari e possano essere quindi incompleti o trasmessi in ritardo. In questo caso, la presenza di più indicatori ci consente di rilevare degli alert anche quando qualche dato è carente. E devo dire che in 26 settimane gli allarmi, come quello lanciato ai primi di ottobre sulla crescita della curva epidemica, sono sempre stati tempestivi e confermati dalla realtà dei fatti».
Anche l’Rt è finito sotto accusa. Secondo alcuni suoi colleghi sarebbe inattendibile a causa della debacle del sistema di tracciamento. Vero o falso?
«Potrebbe essere così se l’indice di contagiosità fosse calcolato anche sui positivi asintomatici, ma nei nostri calcoli vengono inseriti soltanto i sintomatici. E le persone che stanno male difficilmente sfuggono al tracciamento».
Le Regioni chiedono di inserire nel monitoraggio qualche indicatore predittivo della curva epidemica, in modo da assumere le decisioni su una fotografia meno ingiallita. È una proposta che considerate di prendere in considerazione?
«Prima di introdurre nuovi indicatori bisogna testarli bene e valutarne impatto e affidabilità. Si possono sicuramente incrociare nuovi dati. Quello sulla mobilità delle persone, per esempio, è in fase di analisi e studio. La fotografia che forniamo però è tutt’altro che ingiallita. Il dato sull’occupazione dei posti letto è fornito in tempo quasi reale e il monitoraggio offre anche una previsione sui rischi di saturazione delle terapie intensive e dei reparti di medicina a trenta giorni. Altri dati sono della settimana precedente perché devono essere consolidati affinché siano affidabili. Ma calcolando che il tempo di incubazione del virus varia da 4 a 14 giorni, siamo comunque in grado di individuare il trend e di capire dove stiamo andando».
Basteranno i tamponi rapidi per accertare se una persona è positiva?
«A breve l’Europa dovrebbe fornire una nuova definizione di caso, che includerà l’utilizzo di tamponi rapidi. l’Italia è pronta a recepire la nuova indicazione».
Che elementi abbiamo per coltivare un po’ di ottimismo in vista del Natale?
«L’Rt sta scendendo. E la sequenza è che prima si riduce l’indice di contagiosità, poi quello dei ricoveri e per ultimo, purtroppo, quello dei morti. In questi giorni stiamo validando l’impatto delle misure adottate ad ottobre. L’obiettivo resta quello di portare l’Rt sotto il livello di uno. Perché così diminuisce in modo significativo il numero dei casi e questo a sua volta consente di tornare ad avere un tracciamento sistematico dei contatti stretti e di allentare la pressione sugli ospedali. Speriamo di raggiungere l’obiettivo “Rt inferiore di 1” prima di Natale. I presupposti ci sono. Ma serve anche l’impegno di ciascuno di noi, nel rispetto delle regole, recuperando lo spirito di marzo e aprile».
Non è che poi, riaprendo i ristoranti la sera e spostando più avanti il coprifuoco, ci ritroviamo dritti dentro la terza ondata?
«Il rischio c’è, ma solo se non rispettiamo la triade, “mascherina-distanziamento -igiene delle mani”. Non ci sono scorciatoie. Per parecchi mesi non si potrà abbassare la guardia. Almeno fino a quando, grazie ai vaccini, avremo ottenuto l’immunità di gregge. Ma sono certo che tutto il Paese collaborerà. Lo sta già facendo».
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