Tesini: siamo tutti responsabili

L’ex presidente del Consiglio regionale sui rimborsi: «Dopo un lungo ostruzionismo, fu un blitz del centrodestra»

UDINE. «Siamo tutti responsabili, io compreso». Alessandro Tesini sceglie le parole con cura, e non si nasconde dietro ai regolamenti. Fa un ragionamento politico e personale, parla di decoro e istituzioni, di buon senso e ricordo. Tesini, sessant’anni a gennaio, presidente del Consiglio regionale nella scorsa legislatura, guarda le inchieste sui rimborsi, la campagna elettorale che inizia, proprio quando si prepara a lasciare il palazzo. «Il mio – confida – è lo stato d’animo di chi accingendosi a lasciare vorrebbe uscire con decoro. Vorrei lasciare un buon ricordo».

Tesini, cosa pensa dello scandalo dei rimborsi per le spese di rappresentanza? La politica ha sbagliato?

«In primis, non intendo aggiungere la mia voce al coro stonato e pieno di stecche che ho udito in questi giorni: tanti hanno detto “Come erano belli i miei tempi, in cui queste cose non succedevano”. È onesto dire alle forze politiche e alla comunità regionale, finché siamo ancora in tempo, che siamo tutti colpevoli di quello che è successo. Ovviamente chi più e chi meno, ma ormai è un sistema arrivato al capolinea. Chi contribuendo e chi non opponendosi con sufficiente energia: quello che sta saltando è un sistema. L’esito elettorale mi sembra inequivocabile».

Manca poco alla fine del suo impegno in Consiglio regionale.

«In questa decisione non c’entra né lo statuto del Pd né l’imprevedibile peggioramento delle mie condizioni di salute, che hanno minato la mia resistenza e in taluni casi la mia lucidità. Avevo già deciso nel 2008 che sarebbe stato l’ultimo giro».

Quali sono le voci stonate che ha sentito?

«La prima riguarda il regolamento: eravamo consapevoli che nessuno regolamento si può sostituire alla legge, quella civile e penale, che non a caso individua delle responsabilità. E poi ci sono questioni che attengono al senso della misura e al buon senso, che riguardano la coscienza personale. Qua ci troviamo di fronte a valicazioni del senso della misura, uno dovrebbe conoscere i limiti al di là del regolamento».

Come funziona concretamente la pratica dei rimborsi, e come l’ha usata anche quand’era presidente?

«Vorrei attenermi a dati oggettivi. Per esempio mi ricordo che quando morì Ernesto Illy, essendo io l’autorità più alta in carica dopo Illy, mi sembrò giusto esprimere il cordoglio della Regione alla famiglia e al presidente. Feci un necrologio sul giornale, e quando venne il tempo di rimborsare la spesa gli uffici si rifiutarono. Non è rappresentanza questa? Poi gli uffici si adeguarono. Bisogna anche dire che i consiglieri devono dare prova di temperamento e rettitudine non sempre scontata: subiscono pressioni da tutte le parte, a volta dai gruppi di pressione. Un’altra delle prassi prevedeva che il presidente del Consiglio facesse un regalo a tutti i dipendenti del palazzo per Natale. Mi rifiutai, ma la cosa generò malumore, magari anche da chi oggi si dichiara scandalizzato».

Ettore Romoli ha indicato che il regolamento in questione risale alla legislatura in cui lei presiedeva il Consiglio.

«Oggi i gruppi hanno un finanziamento molto superiore a quello di un tempo, ma i fatti non sono quelli raccontati da Romoli, e mi spiace che a Illy vengano spesso attribuite responsabilità che non ha. In realtà quello fu un blitz da parte del centrodestra. Illy era contrario e votò differenziandosi».

Come iniziò tutto?

«Nel 2003 iniziò un tam tam rispetto all’eccesso di poteri che aveva l’esecutivo a seguito dell’elezione diretta del presidente. Condividevo questa richiesta ma non per una monetizzazione. Al primo incidente durante le prime variazioni di bilancio l’opposizione di centrodestra scatenò un ostruzionismo. Convocai i capigruppo e dissi che era inammissibile che la maggioranza stesse sotto scacco. L’opposizione disse che avrebbe desistito solo di fronte a una congrua monetizzazione, a un aumento dei dipendenti dei gruppi consiliari, dei collaboratori. Non metto in dubbio le intenzioni dei protagonisti dell’epoca, Gottardo era molto più attento ai finanziamenti, Asquini ai dipendenti dei gruppi. Io dicevo che la strada maestra era la revisione regolamento, e fu lì che Illy per sbloccare l’impasse dei lavori diede il via libera alla cosa. Ma fu chiaro che subì: la maggioranza dell’epoca non dimostrò un grandissimo carattere».

Torniamo a oggi. Ritiene opportuno farsi rimborsare la spesa in pescheria, i lampadari o i seggiolini?

«Un conto sono i cavilli giuridici, un conto è il buonsenso. Se è vero che questo regolamento permette margini aleatori, vuol dire che il regolamento è farraginoso, ma ricorrere al regolamento per giustificare spese di aragoste e ostriche mi pare arrampicare sugli specchi».

Che posizione ritiene di avere?

«Sicuramente qualche spesa di rappresentanza l’ho fatta, e anche qualche presente che attiene al ruolo ricoperto. Dopo di che non mi risulta di aver fatto delle esagerazioni e comunque mai a mio vantaggio personale. Che avessi potuto farli anche con i miei soldi è fuori discussione, ma in questi casi si impara anche sbagliando».

Come vede le prossime elezioni regionali?

«Sono preoccupato, prevalgono questi aspetti. Questa è la vera colpa di cui ci siamo resi responsabili, io compreso».

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