Tino Zava “spegne” il Tg3: "Ho raccontato Pordenone"

PORDENONE. Diretta alle 14, alle 17 i giri di cronaca e poi «mi congederò da questo mondo». Giornalistico, s’intende. Tino Zava, volto noto del Tg3 regionale, e di Pordenone da quando è redattore distaccato, primo febbraio 2001, oggi saluta i telespettatori.
Da domani, mercoledì 1 marzo, è in pensione. Alla Rai era entrato il 7 luglio 1987 (prima, con Maurizio Lucchetta aveva fondato la pionieristica tv locale via cavo).
L’amico d’infanzia Francesco Durante, nel 1977, lo aveva chiamato a collaborare col Piccolo, tre pagine preparate nella redazione al grattacielo Santin.
«Quello della collaborazione sportiva era il modo più semplice per cominciare. Seguivo il Pordenone, il basket Postalmobili, l’hockey. A vedere le partite spesso andavo con la mia fidanzata e futura moglie Renata.
Tra i collaboratori ricordo colleghi diventati poi professionisti: Pierluigi Odorico, Gianluigi Colin, Leopoldo Petto. Venni assunto il primo giugno 1980, giorno del mio compleanno, dall’85 al 1987 guidai la redazione mentre collaboravo con Radio Rai».
Che anni erano?
«Della passione per il cinema, c’era una grande fioritura di registi. Si andavano a vedere i film al cineforum di Casarsa o a Montereale».
In bicicletta?
«Mica erano i tempi di Umberto D. e del neorealismo!».
Stiamo sul leggero: ti piace la musica.
«Sono legato agli anni Settanta del rock: un rinascimento musicale come quello non è più tornato. Ho visto i Rolling Stones a Vienna, gli Who ad Amsterdam, I Jethro Tull nel loro primo concerto italiano a Milano e poi altre cinque volte».
E qualcosa di più contemporaneo?
«Malika Ayane. Ma amo Rino Gaetano, un genio assoluto».
Il primo incontro con Renata?
«Mica farai la mia biografia? Comunque frequentavamo le stesse persone».
Il primo caso di cui ti occupasti?
«La tragedia di Ustica. Anche Pordenone pianse le sue vittime».
Tra i tuoi collaboratori, due omonimi.
«Alberto Rossi, uno futuro presidente della Provincia e l’altro futuro capo dei gip. Il primo svolse il servizio civile con me, in municipio: eravamo pompieri addetti alle informazioni sull’equo-canone. Il secondo scrisse una storia che finì addirittura sui media nazionali, quella degli americani che la domenica andavano a cercare l’oro in Valcellina».
Come entrasti in Rai?
«Come scoprii in seguito, il posto di corrispondente Rai di Pordenone spettava al Psi».
Eri socialista?
«No. In ballottaggio c’erano altri due. A Udine andò in pensione il mitico Isi Benini. Se non era pensabile, allora, di entrare in Rai senza una collocazione, credo, modestamente, di avere dimostrato professionalità».
Il primo servizio in tv?
«Una domenica al mare a Lignano. Erano gli anni della nuova autostrada, dei tedeschi che arrivavano in quattro ore. La sera fu mandato anche dal Tg1».
Ti guardasti?
«Certo».
Le grandi interviste?
«Ad Alberto Sordi, un signore. E a Gigi Riva; roba da notte prima degli esami, di coppa dei campioni, del mito rombo di tuono. Ma invidio Gianpaolo Girelli che intervistò Brigitte Bardot, che avrei gradito conoscere».
Ti abbiamo visto spesso anche nei Tg nazionali.
«Il periodo professionalmente più intenso fu quello della guerra del Kosovo. Tre mesi passati ad Aviano, nella prima linea delle retrovie. Partimmo con la telecamera che inquadrava i monti innevati e finimmo coi fiorellini che puntellavano i prati. Sono stato tra i primi a mostrare le immagini dell’inizio di quella guerra. Ma ricordo anche le telecronache in diretta delle adunate degli alpini di Udine e Pordenone, quelle sull’alluvione».
Mai avuto paura di non farcela?
«Ricordo la telecronaca di un’ora e un quarto da Piancavallo. Sino al giorno prima ero completamente a digiuno di freestyle. Alla fine mi sono detto: ragazzo, se hai fatto questo, puoi fare tutto».
Ti saresti immaginato giornalista?
«No, ma ci speravo. Mi considero privilegiato: questa professione mi ha permesso di fare tante cose che non avrei altrimenti mai potuto fare. E mi considero fortunato ad avere fatto questo lavoro che per me è il più bello di tutti».
Altrimenti?
«Non avrei avuto le doti per farlo, ma mi ha sempre affascinato il lavoro dell’architetto».
Querele?
«Rientrate. La Procura di Pordenone aveva avviato un’indagine su un presunto traffico di mitra inglesi. Sul mio tavolo capitò una foto che sembrava quella di un’udienza del processo contro i fabbricanti d’armi. La pubblicai quando riferimmo che il procedimento poteva essere trasferito altrove. Solo dopo scoprii che si trattava del direttivo dell’Unione degli artigiani».
Quante volte hai sentito: alla Rai non c’è spazio per Pordenone?
«Non è vero. Magari oltre vent’anni fa. La gente è ancora vittima di pregiudizi».
Scarso peso politico?
«Pordenone ne ha sempre avuto poco. E sta diminuendo anche quello economico».
La notorietà del telegiornalista.
«Mi riconoscono, sì, se è quello che intendevi. Mi chiedono pure autografi. A Fernanda ho scritto: “Tanto pazza da chiedermelo” Il boom della notorietà è arrivato con “Zinzino Tava”, voce dell’imitatore Andro Merkù su Radio Punto Zero. Se allora mi fossi candidato sindaco di Trieste, avrei vinto. Così mi dissero».
Ti mancherà il lavoro?
«Tanto».
Che dici ai giovani?
«Raccomando umiltà e modestia. Questo è un mestiere che si impara giorno dopo giorno. E dopo decenni puoi imparare ancora qualcosa di nuovo».
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