Top500, innovatori ma non abbastanza: il Nordest insegue l’Europa

Mercoledì 30 gennaio, a Udine, dalle 17.30, nella sede al Messaggero Veneto (posti esauriti), si terrà l’evento di presentazione di Top 500
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Imprese “esploratrici” di un mondo nuovo. Potessimo dipingere l’azione e le strategie di una parte significativa del sistema produttivo nordestino, fotografate dall’ultima analisi di Top 500, le raffigureremo così.
Perché, come chi va alla scoperta di realtà ignote, negli anni precedenti hanno investito nella preparazione, studiato come fronteggiare le difficoltà.
E il mondo della competizione è nuovo e incerto, in cui i criteri dello sviluppo sono mutati: velocità e pervasività delle innovazioni, riduzione della dimensione dello spazio e del tempo, divisione del lavoro mondiale, globalizzazione e tecnologie digitali: sono tutte caratteristiche di questo nuovo mondo.
In poco tempo siamo passati da un consolidato mondo analogico-industriale, a uno digitale-flessibile. Anche solo questi brevi cenni raccontano l’importanza di osservare in modo sistematico una platea fondamentale del sistema produttivo, come quella di Top 500.
Si tratta di imprese “esploratrici”, per almeno due ordini di motivi. Il primo: fanno da apripista sui mercati. Come raccontano anche altre ricerche (Centro Studi di Community), grazie alle loro dimensioni riescono a proiettarsi su nuovi mercati, innovare, sviluppare reti.
Anche nell’ultima classifica annuale di Top 500, il tema della dimensione viene confermato come un fattore cruciale: è un asset fondamentale per realizzare migliori economie di scala, efficienza e risparmi, capitalizzazioni, possibilità di dare risposte veloci al mercato.
Il secondo motivo: aprono la strada per il gruppo al seguito. Perché trainano con sé una parte significativa delle imprese più piccole del territorio in cui operano, che non sono soltanto semplici fornitori, ma più spesso veri e propri partner privilegiati.
Fra impresa più grande e fornitore si sviluppa un rapporto reciprocamente virtuoso. Non va dimenticato che, fatto 100 ciò che viene prodotto dalle aziende leader, l’80% è realizzato dai fornitori.
Dunque, gli esiti positivi desunti dai bilanci delle singole imprese di Top 500 rappresentano un epifenomeno, l’esito manifesto di qualcosa che coinvolge una quota significativa del sistema imprenditoriale locale.
Il consolidamento
Gli esiti delle elaborazioni sui dati di bilancio (riferiti al 2017) di Top 500 consegnano un’immagine di ulteriore crescita, sebbene rallentata, e consolidamento delle imprese “esploratrici” e, in senso più ampio, del sistema produttivo locale, testimoniato dagli indicatori positivi del Pil del Nordest, della crescita dell’export, delle performance dei distretti industriali.
Soprattutto, segnalano come, rispetto alle precedenti rilevazioni, si registri una diffusività della crescita che coinvolge una platea ancor più ampia delle imprese. Quindi, la ripresa, seppure lentamente, si è espansa e consolidata.
A questo fenomeno positivo, si aggiunge un secondo aspetto strategico di rilievo. Una parte rilevante delle imprese si è orientata a una maggiore patrimonializzazione, capitalizzandosi in particolare attraverso l’autofinanziamento, riducendo il proprio indebitamento.
Dunque, il sistema economico ha teso – facendo storia dell’esperienza recente – a consolidarsi autonomamente, a cercare di camminare con le proprie gambe. Perché con una maggiore solidità patrimoniale è più facile resistere ai marosi di un mercato che cambia velocemente. E a un sistema bancario locale che ha disperso buona parte della ricchezza accumulata.
Il confronto
A questi risultati positivi, non mancano però anche alcuni segnali che vanno debitamente considerati. Il primo riguarda le caratteristiche della crescita. I dati di bilancio raccontano come essa sia avvenuta più sul versante dei volumi, che su quello del valore aggiunto, ovvero della ricerca di maggiori efficienze nella catena del valore, dell’innovazione.
Il confronto con il resto delle imprese del Nord evidenzia come quelle del Nordest siano in linea con le altre realtà produttive sul primo fattore, ma sul valore aggiunto la crescita sia largamente inferiore. La crescita c’è, ma le marginalità sono state erose.
Le rilevazioni successive ci diranno se ciò è prevalentemente dovuto alla scelta di capitalizzare (in proprio) le aziende, oppure a un minore investimento nella ricerca di maggiori efficienze o all’innovazione.
In ogni caso, il raffronto con le altre economie delle regioni del Nord dice che la competitività non è data solo da un’organizzazione più grande, ma anche dalla ricerca di una crescente efficienza di tutta la catena del valore della produzione: dell’impresa e della sua filiera.
Spettro-frenata
Il secondo segnale, collegato al precedente, riguarda i processi di innovazione nelle economie territoriali. Il periodico Regional Innovation Scoreboard (UE, 2017) colloca il Veneto solo al 128° posto (stabile nel tempo) e il Friuli Venezia Giulia al 117° (in ascesa) su 220 regioni europee.
I principali punti di debolezza risiedono nel minor investimento delle imprese in R&S, nella ridotta spesa in R&S della Pubblica Amministrazione, nella minor presenza di giovani laureati, nelle rare collaborazioni innovative fra imprese.
Ora, i segnali di rallentamento dell’economia nazionale al termine del 2018 e degli scambi commerciali a causa delle politiche dei dazi, unito al rallentamento dell’economia cinese, fanno palesare per il 2019 lo spettro di una nuova brusca frenata, che per il nostro paese potrebbe configurare una fase recessiva. Le imprese di Top 500 hanno dato prova di resilienza e di consolidamento.
Ma la competizione si gioca nella creazione di valore aggiunto nell’intera catena del valore, nei processi di innovazione dell’impresa, ma anche dei territori e delle realtà locali: la crescita passa attraverso la riscrittura di una nuova reciprocità fra impresa e territorio. —
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