Tortora sembra dimenticato ma è nel cuore degli italiani

“Dove eravamo rimasti?”. Con questa frase, l’indimenticabile Enzo Tortora si ripresenta al pubblico italiano con il suo Portobello, la trasmissione che ha fatto la storia della televisione italiana. È il 20 Febbraio 1987, un venerdì sera, ma non uno qualunque. È impossibile reggere l’emozione; questo ritorno pone fine a un incubo durato tanto, troppo. Sono infatti trascorsi quattro anni da quando, all’alba di quel 17 giugno del 1983, Enzo Tortora viene arrestato nell’ambito di un’operazione anticamorra. La sua colpa è quella di essere segnato all’interno di una agendina di un camorrista. Un palese caso di omonimia, anzi, nemmeno, dato che il nome scritto su quelle pagine è Tortona, non Tortora. È solo l’inizio. Una “n” scambiata come “r” alza il sipario a quella che è ancora oggi ricordata come una vera e propria tragedia giudiziaria nel nostro Paese. Difatti, non esita a cogliere l’occasione Giovanni Pandico, “schizoide e paranoico" per i medici e scrivano del noto Boss Raffaele Cutolo, a trasformare un chiaro equivoco in una lunga reazione a catena di accuse infamanti.
Per il Pandico, infatti, il noto conduttore televisivo sarebbe il braccio destro proprio del Boss Cutolo, all’interno della famosa Nuova Camorra Organizzata. Non manca molto al momento in cui questo primo infame “pentito” passi il testimone ad altri suoi colleghi, all’insegna della collaborazione con la giustizia.
Arriva il turno di Pasquale Barra, detto "o 'nimale", killer dei penitenziari con 67 omicidi in carriera, e poi quello di Gianni Melluso, in carcere per sfruttamento alla prostituzione. Tutti convergono sul fatto che Enzo Tortora, quel presentatore tanto amato dal pubblico italiano, sia un uomo di spicco della camorra. Da questo momento, ogni carcerato che parli in merito al caso potrà usufruire dell’uscita dal carcere, per andare in una struttura di recupero in cui potrà incontrare i suoi “compagni di merende”. Tanto per organizzare meglio il copione da portare al processo. Già, perché a calcare il palco del tribunale di Napoli arriverà un altro attore, stavolta incensurato: Giuseppe Margutti. Costui racconterà di aver visto Tortora organizzare uno spaccio mentre sua moglie “si aggiustava le mutandine”. No, non è uno scherzo. In udienza non basterà l’arringa dell’avvocato Della Valle per evitare una condanna di 10 anni ai danni del conduttore di Portobello.
Negli anni Tortora rinuncerà all’immunità parlamentare, ottenuta con la candidatura con i radicali, in modo tale da concludere a testa alta il processo. Servirà addirittura uno come Renato Vallanzasca, pluricriminale milanese, per far cadere gran parte di quella putrida montagna di accuse. Si dovrà arrivare all’ultima spiaggia, il 15 Settembre 1986, per assolvere con formula piena in appello Enzo Tortora, “poiché il fatto non sussiste”. È la fine di una vera e propria tortura, che alla fine ha portato alla morte un uomo che ha sempre camminato a testa alta. Dopo aver ripreso la conduzione di Portobello, infatti, Tortora verrà a mancare a causa di un tumore.
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