Tragedia al lago della Burida a Pordenone, s'inabissa col figlioletto

PORDENONE. Sono morti insieme, l’uno accanto all’altra, prigionieri dell’auto inabissata nel lago della Burida. Madre e figlio. Il piccolo, Federico Piva, 4 anni, intrappolato nel seggiolino. Lei, Cristina Furlan, 36 anni, di Porcia, lo ha raggiunto sul sedile posteriore.
In uno slancio disperato, la mamma forse ha cercato di slacciare le cinture di sicurezza al suo bimbo e di metterlo in salvo, mentre l’acqua scura e limacciosa invadeva l’abitacolo, dal finestrino del guidatore abbassato. Cristina avrebbe avuto una via di fuga facile, a portata di mano, per riaffiorare in superficie. Ma il suo cuore di mamma ha fatto un’altra scelta.
Il padre Luigi Furlan stava aspettando lei e il nipotino, nella casa sul lago, sulla sponda opposta, in cui è cresciuta con i due fratelli Devis e Sabrina. Un’infanzia dai ricordi felici. Avevano fatto colazione insieme, a Porcia, a casa di lei, tutti e tre, nonno, figlia e nipotino, mentre il marito di Cristina, Loris Piva era uscito di casa prima delle 8 per andare al lavoro. Federico aveva la febbre, non sarebbe andato in asilo. «Vai avanti tu, io ti raggiungo», ha detto Cristina a suo padre. Erano le 10.15.
L’allarme è scattato poco dopo le 10.40 quando na 75enne del posto ha notato con stupore la Volkswagen touran grigia scendere a bassa velocità lungo la stradina erbosa che costeggia il lago e piombare nello specchio d’acqua.
La prima era inserita. Mentre affondava, l’auto si è capovolta. Superato lo choc, l’anziana ha avvicinato subito un residente, Ferruccio Barel, che abita proprio di fronte al lago. L’uomo, con un passato di sub, ha telefonato al 113 e poi si è tuffato. Sulla superficie dell’acqua affioravano ancora le bolle dell’ossigeno provenienti dall’abitacolo sprofondato, con le ruote all’aria.
Barel ha cercato di raggiungere il veicolo, ma non ci è riuscito: l’acqua è troppo limacciosa e gelida e ormai la Touran si era adagiata sul fondale fangoso, a circa tre metri di profondità. È riuscito a scorgere, però, nell’oscurità, la sagoma di una donna prigioniera dell’abitacolo.
Alle 10.45 sono arrivati 118, vigili del fuoco, Polstrada di Spilimbergo e Pordenone e gli agenti della Squadra volante. Sul posto, a sovrintendere le operazioni, il sostituto procuratore Vallrin e il vicequestore aggiunto Pier Giovanni Rodriquez. In attesa del nucleo sommozzatori dei pompieri, partiti da Trieste, è stato convocato Alex Marson, 43enne pordenonese, titolare del negozio di atttrezzature subacquee Explorers in via Montereale e uno degli speleo-sub più conosciuti della regione.
È lui, con le lacrime agli occhi, a liberare dal seggiolino e depositare nelle mani dei pompieri il corpicino senza vita di Federico. Sarà l’inchiesta, coordinata dal pm Pier Umberto Vallerin, ad accertare cosa sia accaduto. Varie le ipotesi, ma non si esclude il gesto volontario. Dalle testimonianze dei familiari è emerso che la donna soffriva di crisi depressive.
L’autopsia, disposta per stamattina, chiarirà tuttavia se la donna abbia ingerito una dose tale di farmaci ansiolitici – alcune confezioni, aperte, sono state trovate nella sua borsa – che possa averla spinta, in una sorta di trance, a prendere la discesa sterrata verso il lago anziché proseguire lungo via della Burida. I farmaci trovati nella borsa della donna sono medicinali che, se assunti in dosi non terapeutiche, possono rafforzare infatti eventuali istinti suicidi.
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