Transgender, in Italia discriminazione al top

UDINE. Dopo la Turchia, l’Italia è il Paese europeo in cui c’è il più alto numero di vittime della violenza transfobica. Un fenomeno che dal primo gennaio 2008 al 31 dicembre 2016 ha visto perdere la vita 32 persone.
L’ultima vittima, che non entra ancora in questa statistica, è Laurentiu Ursaru, la ventisettenne transgender ritrovata lo scorso 11 novembre senza vita nei pressi dell’Eur a Roma. I numeri sui maltrattamenti, le cifre che raccontano di violenze fisiche e psicologiche, invece, sono praticamente impossibili da raccontare, sia a livello nazionale che a livello locale.
«Ci sono alcuni dati raccolti dall’Agenzia Europea per i diritti umani – ci racconta Walter Citti, Garante regionale per le persone a rischio di discriminazione – ma non ci sono dei veri e propri monitoraggi a livello locale: quello che risulta, mancando chi si occupa direttamente di questo fenomeno, è un’altissima percezione della discriminazione e un uso profondamente offensivo e inappropriato delle parole nei confronti delle persone transgender, che in Italia è molto superiore alla media degli altri paesi».
Un’affermazione che trova riscontro nelle parole di Federico Sandri, psicologo e sessuologo consulente per il reparto di Urologia e Chirurgia plastica dell’ospedale di Cattinara. «È impossibile avere dei numeri concreti, a livello locale, di quante sono le vittime della transfobia, semplicemente perché non c’è un’istituzione che studia e monitora il fenomeno. I referenti di chi subisce violenza fisica, psicologica ed emotiva siamo noi “clinici”, a cui spesso le vittime si rivolgono comunque con infinita difficoltà emotiva».
Lunedì 20 novembre ricorre il Transgender Day of Remembrance, ovvero la Giornata di Ricordo per le Vittime della Transfobia, istituita anche per aumentare la consapevolezza riguardo questo fenomeno.
«Normalmente, le persone transgender che vogliano o meno compiere il percorso chirurgico non sanno a chi rivolgersi quando subiscono maltrattamenti. E non stiamo parlando – ammette serio Sandri – solo di violenza in contesti sociali e istituzionali, ma anche e soprattutto di discriminazioni in ambito familiare dovuta al terribile fenomeno della transfobia interiorizzata».
E se si insiste sui numeri, su quelle cifre che piacciono tanto per fare statistica, il dottor Sandri ci dice esplicitamente che «il 50 per cento delle persone che si rivolgono a me lo fa a causa dei maltrattamenti che subisce quotidianamente a causa della sua identità di genere. Almeno un familiare manifesta una forma di transfobia più o meno palese». Il problema, secondo Sandri, è che manca totalmente una cultura legata a questo tipo di fenomeno.
«La transfobia può manifestarsi in modo più o meno severo: in alcuni casi i parenti sono resistenti all’accoglimento del nome richiesto dal familiare transgender e sono i primi che mettono in discussione la buona fede del disagio, in altri sopraggiunge l’aggressività se si tratta di iniziare l’iter di transizione», evidenzia.
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