Trovata morta a 16 anni nei bagni della stazione, lo strazio dei genitori: «Non riusciamo a crederci»
La corsa del padre e il racconto di quegli attimi drammatici: "Alice non rispondeva al telefono, mi sono preoccupato e sono andata a cercarla". Poi la chiamata dalle forze dell'ordine

Alice Bros in un momento felice. A fianco il padre Mario e la madre Laura Vanelli
«Alice non era una tossicodipendente. Non possiamo proprio accettare che l’immagine, il ricordo di nostra figlia resti legato a quello di una ragazza morta di overdose nel bagno di una stazione ferroviaria. È qualcosa che non corrisponde a quel che lei era, al suo modo di comportarsi, al suo modo di fare. Alice non si lasciava andare, si truccava, aveva un colorito sano, aveva appetito: sono piccoli segnali che, se non presenti, ci avrebbero anche potuto allarmare, ma nulla ci lascia pensare che nostra figlia si drogasse. E per giunta di droga pesante come l’eroina». Sono concordi la mamma e il papà di Alice Bros, Laura Vanelli e Mario, nel difendere la propria figlia.
Non possono credere che Alice si sia iniettata di sua volontà dell’eroina. «Perché è entrata nel bagno dei maschi? Chi c’era con lei? Cosa è accaduto? Per come conosciamo nostra figlia non possiamo pensare che sia stata consenziente a una cosa simile. Lei è stata uccisa dalla droga. Ha sempre dichiarato che riteneva degli stupidi coloro che utilizzavano droghe pesanti… Ne aveva il terrore. E aveva anche paura degli aghi: si voltava dall’altra parte perfino quando doveva fare un prelievo del sangue…».
Le indagini faranno chiarezza su cosa sia davvero accaduto mercoledì pomeriggio nella stazione ferroviaria di Udine. «Ma in effetti – aggiunge Laura – la conclusione cui giungeranno le forze dell’ordine non cambierà molto: non ci restituirà nostra figlia. Alice non c’è più».
A riprova di quanto affermano in merito alla figlia, i genitori riferiscono che le forze dell’ordine si sono presentate mercoledì sera nella casa dove risiedeva la ragazza e l’hanno perquisita a fondo, senza però trovare nulla di rilevante. Raccontano che come tutti gli adolescenti aveva i suoi sbalzi di umore, che c’erano state discussioni in famiglia in merito a una festa alla quale Alice voleva partecipare e per la quale loro avevano imposto dei limiti di orario e in merito alla loro contrarietà al fatto che lei frequentasse un suo coetaneo perché non lo ritenevano una persona positiva.
«Il tutto in un quadro di normali rapporti, talora anche conflittuali, tra genitori e figli. Ma era una ragazza che aveva amici, era socievole, vivace, amava l’arte, era brava nel disegno e nella scultura… E quando è uscita di casa, quella mattina, era serena, contenta di indossare dei vestiti nuovi che avevamo comperato. È andata a scuola…».
I problemi sono iniziati quando nel pomeriggio ha smesso di rispondere ai messaggi al cellulare. «Non era da lei – spiegano – se non poteva rispondere o non sentiva lo squillo, appena se ne accorgeva, richiamava». Quel pomeriggio, come era solita fare quando si doveva vedere con il padre, avrebbe dovuto accordarsi per l’ora in cui lui sarebbe passato a prenderla. «Ma non rispondeva al telefono né ai messaggi. Allora – racconta il padre – mi sono preoccupato. Ho pensato di andarle incontro, di andarla a cercare. Ho parcheggiato l’auto nei pressi dell’autostazione, vicino a una delle sedi della sua scuola. E sono sceso. È stato allora che ho ricevuto la telefonata di Alice, ma all’altro capo c’era un agente della Polfer che mi invitava a raggiungerlo in stazione».
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