Truffa al Monte dei Pegni, la testimone: "Ho prestato a Di Rosa più di 1,5 milioni"

Le dichiarazioni della ex responsabile del servizio alla Cari Fvg Michela Ottonello accusata di appropriazione indebita
Udine 10 Aprile 2012. Monte dei Pegni. Telefoto Copyright Petrussi Foto Press
Udine 10 Aprile 2012. Monte dei Pegni. Telefoto Copyright Petrussi Foto Press

UDINE. «Ho consegnato alla Di Rosa e ai suoi familiari circa un milione e mezzo per aiutarla, era piena di debiti e temevo potesse suicidarsi».

Non era tenuta a deporre Michela Ottonello, ex responsabile del Monte dei Pegni della Cassa di Risparmio del Fvg, accusata di appropriazione indebita aggravata in relazione all’ammanco di 6 milioni 335 mila euro scoperto dallo stesso istituto di credito all’inizio del 2012.

Eppure lo ha fatto. Ha voluto andare alla sbarra come teste dell’accusa nel procedimento a carico di Giovanna di Rosa, 47enne trevigiana difesa dagli avvocati Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi, e del suo ex marito 53enne Giuseppe Mingolla difeso dall’avvocato Ezio Franz, entrambi chiamati a rispondere di appropriazione indebita.

Il processo a carico della Ottonello, assistita dall’avvocato Luca Francescon, si celebrerà con il rito abbreviato dinanzi al gup, la prima udienza è stata calendarizzata per il 4 dicembre, ma lei ha voluto raccontare la sua verità.

Ad ascoltarla c’erano alcuni dipendenti della Cari Fvg che, dopo il suo licenziamento per giusta causa, non l’hanno più vista e hanno inutilmente cercato una spiegazione a quanto è successo.

Incalzata dalle domande del pm Barbara Loffredo, la Ottonello ha iniziato il suo racconto dinanzi al giudice Angelica Di Silvestre. «Ho lavorato al Monte dei pegni dal 1985 al 2012 e dal 1999 come responsabile. Fino al 2009 ero da sola, poi mi hanno affiancato una dipendente». In quegli anni, la Ottonello ha operato in autonomia come estimatore e pagatore per il Monte dei pegni.

«Ho conosciuto Giovanna Di Rosa negli anni Novanta, si rivolgeva di frequente per prestiti allo sportello – ha continuato la Ottonello –. Si era presentata come rappresentante di gioielli, per anni fece operazioni regolarmente estinte, poi mi pregò di aiutarla, mi disse che si trovava in difficoltà estrema, che i debitori la ossessionavano.

Prima forzai l’attività di stima effettuando valutazioni dei beni più alte di quelle che avrei adottato per altri clienti, poi, quando non ebbe più beni da presentare, emisi polizze di pegno vuote, senza beni a copertura».

Una pratica che sarebbe stata inaugurata nel 2002. E non sarebbe stata solo la Di Rosa a ritirare quelle somme, ma anche il marito e altri familiari, visto che dal 2007 la banca mise un tetto alle cifre che potevano essere erogate per ciascun nominativo. «Quando ero sola in ufficio consegnavo le somme personalmente – ha chiarito Ottonello – dal 2009 lasciavo le buste da 3 o 4 mila euro in portineria, passavano due o tre volte la settimana a ritirarle».

La Ottonello ha ammesso di aver erogato così circa un milione e mezzo di euro alla famiglia Di Rosa, senza contare le sopravvalutazioni. Poi ha infilato una serie di “non so” e “non riesco a capire”, a chi gli chiedeva che fine hanno fatto gli altri milioni spariti dal Monte dei pegni.

Ma il motivo di quelle elargizioni ha fatto fatica ad affiorare. «La Di Rosa riusciva a fare grandi pressioni psicologiche – si è limitata a dire – mi terrorizzava il fatto che potesse suicidarsi e speravo di poterla aiutare, di poter rimettere le cose a posto».

Non meno vaghe sono state le risposte alle domande poste dal collegio difensivo e dall’avvocato Giuseppe Campeis, che rappresenta la banca, sulle modalità con cui avvenivano le dazioni e sulla provenienza del denaro che utilizzò per acquistare un’auto. A deporre sono stati chiamati anche due dipendenti della Cari e la titolare di un negozio di gioielli di Treviso.

Si tornerà in aula il 18 febbraio per la discussione.

La vicenda. Il caso del buco al Monte dei pegni della Cassa di Risparmio del Fvg è scoppiato nell’aprile del 2012.

Sotto accusa era finita l’allora responsabile dell’ufficio di via Pelliccerie, Michela Ottonello: appropriazione indebita l’ipotesi di reato nei confronti della 48enne udinese e di altre due persone, entrambe iscritte sul registro degli indagati all'esito degli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza: Giovanna Di Rosa, 47 anni, di Treviso, ritenuta la beneficiaria di una parte dei prelievi, e il suo ex marito Giuseppe Mingolla, 53, anch’egli trevigiano e al quale si contesta il ritiro del denaro in una trentina di occasioni.

Una vicenda dai molti lati poco chiari a cominciare dai conti: secondo la banca, la sottrazione e il danno si aggirano sugli 8,9 milioni, mentre stando all’ipotesi dell’accusa la somma supera di poco i 6,3 milioni, di cui 2,5 sarebbero andati a un unico beneficiario. Comunque sia, si tratta di una montagna di soldi in contanti, non tracciabili, che sono usciti dall’istituto di credito attraverso la supervalutazione di beni o afronte di beni inesistenti.

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