Tubi Tucker, maxitruffa e nessuno paga

PORDENONE. Oltre al danno, la beffa. In poche parole, è la morale della vicenda della truffa dei Tubi Tucker, il dispositivo che prometteva risparmio energetico e azioni drastiche contro l’inquinamento. Coinvolti consumatori da tutt’Italia, tra cui 37 residenti della provincia di Pordenone, dislocati in tutto il territorio: 19 di Pordenone, due di Cordenons, Montereale, Spilimbergo, Sacile e Aviano, uno a San Vito, Claut, Porcia, Polcenigo, Fiume Veneto, Zoppola e Maniago. A loro l’affare Tucker è costato7 mila euro ciascuno.
Soltanto tre avevano deciso di sporgere querela: nel farlo erano stati assistiti dall’avvocato Alberto Fenos. Ma un conto è la querela presentata in sede penale a Pordenone, un altro è procedere con la costituzione di parte civile per ottenere il risarcimento: il processo, infatti, si celebrava a Rimini e le spese, per chi avesse deciso di proseguire con l’iter giudiziario, sarebbero schizzate alle stelle. Meglio mettere una pietra sopra al processo e ai 7 mila euro, ormai in fumo, hanno pensato in molti.
E non è andata meglio a chi, invece, la causa in tribunale l’ha presentata e ha seguito tutti i gradi di giudizio. Per questi truffati l’epilogo è stato una beffa perchè l’iter giudiziario, giunto alla Corte di Cassazione, di fatto darebbe ancora una volta torto agli imputati e ragione ai truffati, ma a rendere amara la pillola ci si è messa la prescrizione.
Cosa vuol dire? E’ passato troppo tempo e ora la causa è chiusa. Chi lo volesse, potrebbe proseguire singolarmente la battaglia con l’azione civile, che avrebbe però costi esorbitanti e presumibilmente tempi biblici.
E dire che le cose si stavano mettendo relativamente bene per chi aveva deciso di intentare causa contro la società che aveva inventato questo fantomatico “tubo miracoloso”: la Corte d’appello aveva, infatti, inflitto ai due principali imputati, Mirko Eusebi e Ivana Ferrara, 6 anni di carcere. In realtà i due hanno passato in prigione soltanto tre mesi e mezzo e ora possono godersi la libertà.
E per i truffati, dopo undici anni di processo, nemmeno l’ombra di un euro. Vicenda finita così? Niente affatto, perchè la beffa è doppia. Nelle tasche dei condannati il Fisco dovrà, infatti, versare tre milioni e mezzo di euro: si tratta di crediti Iva derivati dal fatto che a suo tempo la società aderì al condono tombale.
L’arresto di otto dirigenti della società con sede a Rimini avvenne nell’autunno del 2002. Ma che nella trappola da migliaia di euro fossero caduti anche numerosi pordenonesi lo si seppe solo un mese più tardi, grazie alle denunce che fioccarono alla Federazione consumatori.
All’epoca le associazioni a tutela dei consumatori organizzarono incontri e assemblee per decidere come procedere contro gli inventori della truffa. Poi, negli anni, la rassegnazione e la beffa finale.
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