Udine fu una città-ospedale alla vigilia della Grande Guerra

Il capoluogo friulano crocevia di esuli, malati, feriti e uomini in partenza per il fronte Scuole trasformate in ambulatori, Gervasutta ampliato e Croce Rossa in prima linea
Di Jogor Scalmana

Fin dall’estate del 1914 migliaia di profughi dalle terre irredente varcarono il confine orientale per sfuggire dal conflitto che stava nascendo nel cuore dell’Impero Austro-Ungarico e che si apprestava ad infiammare l’intera Europa.

Per mesi disertori dell’esercito di Francesco Giuseppe, ma soprattutto donne e bambini, fuggirono dalla Venezia Giulia passando dalla Carnia e dalle Alpi Orientali, alcuni addirittura attraverso la Svizzera, riversandosi in Friuli.

Un esodo che si intensificò man mano che la condizione dei “regnicoli” peggiorava a seguito del delinearsi dell’intervento italiano: solo nella sera del 21 maggio 1915 due treni da Cormons e uno da Cervignano portarono a Udine 4000 profughi provenienti dal Friuli orientale, Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia. Il giorno prima il Parlamento italiano aveva votato a favore dell’entrata in guerra. L’Austria per cercare di fermare l’esodo e isolare il confine interruppe le linee telegrafiche e rese inservibili quelle ferroviarie, mentre alla frontiera gli uomini venivano bloccati e rimpatriati. In pochi riuscirono a raggiungere, a piedi, l’Italia.

Questo grande numero di profughi trovò accoglienza in diversi comuni della provincia, alcuni presso familiari o conoscenti, ma la maggioranza presso ricoveri. Solo a Udine nel luglio del 1915 n’erano attivi quattro, il cui principale era situato presso Porta Venezia. La cittadinanza si spese molto per assistere questi “ospiti” non solo con le sottoscrizioni pubbliche o le donazioni materiali, ma istituendo comitati di accoglienza e prodigandosi attivamente nel volontariato.

Sebbene la maggioranza dei profughi fosse destinata ad essere trasferita in altre città, una tale concentrazione di persone creò molti disagi: non va dimenticato che nello stesso periodo in città si riversarono migliaia di soldati e che all’epoca la provincia aveva gravi carenze sanitarie pregresse che costrinsero molti comuni ad organizzare ambulatori e commissioni. Per le precarie condizioni igienico-sanitarie si ricorse a severi divieti e norme municipali in materia di salute pubblica, vietando tra l’altro l’uso dell’acqua delle rogge.

Nonostante le rassicurazioni ufficiali, ancora a dicembre il sindaco di Udine Domenico Pecile diede istruzioni ai vigili urbani affinché rafforzassero i controlli sul rispetto delle norme d’igiene. L’emergenza era tale che l’ospedale per le malattie infettive di Gervasutta dovette essere ampliato per poter ospitare l’aumentato numero di pazienti civili e militari, ma dall’agosto del 1915 venne trasformato in lazzaretto in seguito al trasferimento dei malati di tifo, meningite, colera, tubercolosi e altre malattie infettive nella requisita scuola di via Dante, dove potevano essere ricoverati fino a 300 pazienti, mentre un altro ospedale contumaciale dovette essere istituito presso la caserma della Cavalleria sita nell’attuale via Spalato.

Con l’inizio dei combattimenti le disposizioni della Direzione di Sanità della Seconda Armata avevano trasformato di fatto Udine in una vera e propria città-ospedale: oltre all’ospedale militare di via Pracchiuso e quello della Croce Rossa approntato nel collegio Toppo Wasserman, presidi sanitari erano stati attivati nelle altre caserme della città e nei requisiti locali di quasi tutte le altre scuole cittadine, compresi l’orfanotrofio di via Tomadini e il seminario di via dei Missionari. In queste strutture cittadine erano ospitati più di cinquemila degenti, ai quali bisogna aggiungere i ricoverati negli ospedali da campo sparsi nei territori più prossimi alle zone di combattimento: le vie di Udine brulicavano di ambulanze e mezzi di soccorso, mentre in stazione quotidianamente transitavano treni carichi di feriti e morti che mestamente incrociavano le tradotte colme di soldati diretti al fronte.

Molte delle crocerossine che si occuparono dell’assistenza dei feriti erano friulane che fin dall’inverno del 1914 si iscrissero in massa ai corsi per infermiere volontarie. Quando nell’ottobre del 1915 la duchessa Elena d’Aosta-Orleans, severa ispettrice generale delle della Croce Rossa, venne nella retroguardia friulana per visitare gli ospedali militari della provincia, rimase colpita dal lavoro della Croce Rossa udinese, le cui dame infermiere si meritarono anche la pubblica riconoscenza dell’Intendenza dell’Esercito.

Ma l’impegno delle donne in quei primi mesi di guerra si concretizzò anche coi Comitati di Assistenza Civile, in particolare l’Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra e mare, che aveva l’indispensabile funzione di fornire alle famiglie le notizie dei loro congiunti sotto le armi, la cui sottosezione udinese fu resa operativa dal Comitato di preparazione femminile fin dal 25 maggio 1915. L’attivismo della popolazione civile portò alla creazione di commissioni e comitati per raccogliere fondi e doni da destinare all’assistenza dei militari al fronte, dei feriti in transito o dei degenti negli ospedali, oltre a offrire un lavoro retribuito alle mogli dei richiamati delle classi più povere.

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