Udine, la Procura chiede il fallimento della Vidoni

UDINE. Dopo le speranze, arriva la doccia fredda per la Vidoni di Tavagnacco. In camera di consiglio la Procura della Repubblica ha bocciato il piano concordatario messo a punto durante l’estate e ha chiesto il fallimento per la spa.
Un parere contrario pesante quello della Procura che arriva sulla «base di osservazioni e dati tecnici», spiega il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo.
A rappresentarlo in udienza è stato il pm Paola De Franceschi che ha formalmente presentato l’istanza di fallimento a causa della non fattibilità del piano. Giovedì si celebrerà l’udienza di replica, quindi il tribunale con tutta probabilità si prenderà qualche giorno per decidere.
L’udienza aveva il compito di valutare l’ammissione alla procedura di concordato. «Noi abbiamo dato il nostro parere - prosegue De Nicolo -. Individuiamo criticità nel piano proposto dalla società e quindi come ufficio abbiamo ritenuto doveroso chiedere il fallimento, ovviamente non vuole dire che il tribunale debba procedere».
Stretto riserbo sulle motivazioni: «Finché il giudice non si esprime, non trovo corretto fornire chiarimenti precisi della nostra memoria», sono ancora le parole del procuratore capo. Di sicuro però sono state individuate «numerose criticità».
A compilare il piano concordatario è stato un team composto dal commercialista (e presidente di Friulia) Pietro Del Fabbro (redattore) e dagli avvocati Luca Ponti, Alfredo Morrone e Paolo Panella (alle prese con gli aspetti giuridici), mentre il commercialista Paolo Carbone dello studio romano Carbone & Onesti ha fatto l’attestazione.
Nelle intenzioni della proprietà il piano prevede di preservare la continuità diretta sul ramo strade (senza alcuna cessione) dando corso al portafoglio ordini in essere cosa che garantirà un flusso di entrate per i creditori della società e al contempo il mantenimento di una parte dell’occupazione, e di procedere con una continuità indiretta sul ramo edilizia tramite la cessione dello stesso.
Anche in quest’ultimo caso tale soluzione è stata individuata poiché la proprietà spera possa essere salvaguardato un ulteriore livello occupazionale e al contempo garantire un flusso di entrate per i creditori. Da ultimo il piano prevede altre azioni quali, a titolo esemplificativo, la dismissione degli immobili e i cespiti non funzionali alla continuità.
I lavoratori (ne sono rimasti un centinaio) restano a guardare con il fiato sospeso. Per loro recentemente si è sbloccata la cassa integrazione, ma la partita più importante è quella del lavoro. La doppia batosta a Tavagnacco è arrivata con lo stop al cantiere della Salerno-Reggio Calabria da un lato e l’indagine sulla “dama nera” delle tangenti, alias la dirigente Antonella Accroglianò, dall’altro.
In questo caso Giuliano Vidoni finì ai domiciliari per avere sborsato mazzette pur di vedersi saldare i crediti via via accumulati negli anni. La revoca dell’appalto da 143 milioni per la Salerno-Reggio Calabria ha poi fatto il resto.
Un appalto che prevede l’ammodernamento della statale 534 come collegamento all’A3, nel tratto fra Firmo e Sibari, in provincia di Cosenza. Opera realizzata al 49 per cento, ma ora da riassegnare «per gravi ritardi registrati nell’esecuzione dei lavori di adeguamento», scriveva l’Anas in una nota. Tesi smentita da Vidoni.
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