Udine, protestò per il cambio di nome allo stadio Friuli: condannato

Tre mesi di reclusione al tifoso dell’Udinese che inscenò una manifestazione contro la denominazione Dacia Arena

UDINE. Il suo cuore bianconero aveva rallentato i battiti quando la giunta Honsell aveva chiamato il consiglio a decidere sulla modifica del nome dello stadio.

Ma la protesta che era partita come un tentativo pacifico di ribaltare la decisione dell’Udinese e delle istituzioni è diventata oggetto di un procedimento penale che ieri ha portato l’udinese di 54 anni Paolo Di Bernardo dinanzi al giudice del tribunale di Udine.

Doveva rispondere delle accuse di rifiuto a fornire i propri documenti, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Assolto per la seconda accusa è stato ritenuto colpevole per le rimanenti contestazioni e condannato a tre mesi di reclusione con sospensione della pena.

Serio, compassato, si è presentato all’udienza assieme al legale Raffaella Liguori che per lui ha richiesto il rito abbreviato.

A distanza di un anno da quei fatti – era il 28 settembre 2015 –, le turbolenze che hanno scandito la revisione del naming dello storico “Friuli”, ribattezzato “Dacia Arena”, hanno ormai i contorni sfumati, eppure fu una stagione di proteste anche vivaci da parte della tifoseria.

Di Bernardo faceva parte di un gruppo di strenui difensori della friulanità che si batteva per conservare l’originario nome dello stadio.

«Non si può accettare la svendita dei nostri valori» aveva tuonato. E aveva invitato tutta la curva Nord a presentarsi davanti a palazzo D’Aronco per una manifestazione. Di fatto c’era solo lui con il suo furgone. Nessun mascheramento, solo l’intento di manifestare pacificamente.

Ma quando i vigili urbani lo avevano avvicinato e gli avevano chiesto i documenti si era innervosito e, prima aveva reagito stizzito, poi aveva cercato di scappare e, nell’inseguimento che ne era seguito, il maresciallo che lo aveva bloccato aveva riportato una lesione. «I vigili mi hanno chiesto i documenti, poi però mi hanno messo le mani addosso. Non ho potuto fare altro che buttarmi a terra gridando» aveva commentato un anno fa.

Ieri, invece, Di Bernardo, ha mantenuto la linea del silenzio. Nessun commento sulla richiesta del pm Giovanna Schirra che ne ha chiesto la condanna a 3 mesi e 10 giorni di reclusione per tutti e tre i reati contestati. Nè sulla linea difensiva scelta dal proprio difensore Liguori che ne ha chiesto l’assoluzione. Ha accolto la sentenza del giudice Roberto Pecile in silenzio senza commentare, manifestando un unico desiderio: quello di voltare pagina. (a.c.)

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