Un errore umano causò la morte del presidente dell'ordine dei medici di Udine

UDINE. Fu un errore umano a causare il decesso di Luigi Conte, il chirurgo ed ex presidente dell’Ordine dei medici di Udine deceduto il 2 febbario 2017, all’età di 69 anni, mentre all’ospedale del “Santa Maria della Misericordia” veniva sottoposto a un intervento di by-pass coronarico.
Una drammatica negligenza attribuita alla mano di Peter Valusso, 56 anni, di Basiliano, il tecnico perfusionista che, in fase di montaggio della macchina cuore-polmone, ne invertì accidentalmente i tubi e che per questo ha deciso di chiudere con un patteggiamento l’inchiesta per omicidio colposo avviata sul caso dalla Procura.
La pena, concordata tra il suo difensore, avvocato Federico Plaino, e il pm titolare del fascicolo, Lucia Terzariol, in un anno e nove mesi di reclusione sospesi con la condizionale, è stata applicata ieri dal gup Mariarosa Persico, al termine del processo che ha calato il sipario sulla vicenda.
Era stata la perizia affidata dal gip a un pool di specialisti di fuori regione a indicare in un «erroneo allestimento dell’apparecchiatura» (quella che garantisce la sopravvivenza del paziente durante l’intervento) la causa dell’embolia gassosa cerebrale che ne determinò il decesso. In pratica, con l’inversione del tubo collegato al vent-aortico, la macchina «anziché aspirare sangue, pompava aria nella circolazione arteriosa del paziente». Valusso, dopo l’incidente, era stato trasferito in un altro reparto.
Nel procedimento erano rimasti coinvolti anche alcuni degli altri sanitari dell’équipe medica che operò Conte. Il pm Terzariol, in particolare, aveva esteso la responsabilità, sebbene soltanto in termini di omissione di verifica congiuntamente con il perfusionista, al professor Ugolino Livi, 67 anni, di Udine, direttore del dipartimento di Cardiochirurgia e capo dell’équipe, e ai chirurghi Enzo Mazzaro, 56, di Udine, e Cristian Daffarra, 41, di Ragogna, chiedendo la condanna per i primi due, che davanti al gup avevano scelto il rito abbreviato, e il rinvio a giudizio del terzo.
La sentenza di ieri ha chiarito la loro estraneità dai fatti, sollevandoli quantomeno dal peso di un’inchiesta giudiziaria che aveva finito per sommarsi al dolore per la perdita di un collega e amico. Il giudice ha assolto con formula piena «per non aver commesso il fatto» Livi e Mazzarro, che erano difesi rispettivamente dagli avvocati Roberto Paviotti e Tiziana Odorico, e dichiarato il «non luogo a procedere» per Daffarra, che era assistito invece dall’avvocato Rino Battocletti.
«L’errore del perfusionista, peraltro molto esperto, è stato talmente inimmaginabile e imprevedibile che, qualora fosse successo in un qualsiasi altro reparto di Cardiochirurgia d’Italia e d’Europa, nessuno si sarebbe neppure sognato di potere e dovere fare qualcosa di più per prevenirlo – ha detto l’avvocato Paviotti –. Il suo effetto è stato talmente rapido, da non lasciare alcun tempo di reazione per impedirlo. Se siamo arrivati fin qua – ha aggiunto – è perché tra i consulenti del pm c’era una perfusionista di Pavia che ha ricordato come, invece, nel suo reparto fosse stato introdotto il test dell’acqua.
E cioè una misura ritenuta idonea a gestire il rischio, ma che non esiste nelle linee guida. E allora, se non è scritta da nessuna parte, anche un reparto d’eccellenza come quello di Udine non può arrivare a prevenire qualcosa di inimmaginabile».
Dal canto suo, l’avvocato Battocletti, che in indagini aveva già ottenuto l’archiviazione della posizione dell’anestesista, ha insistito sul ruolo «assolutamente marginale» del proprio assistito.
Nel procedimento, la famiglia Conte, che è seguita dallo studio Campeis, non si era costituita parte civile. «La vedova e il figlio, entrambi medici, preso atto delle risultanze dell’incidente probatorio cui hanno partecipato solo per acquisire conoscenze sulle cause della morte, hanno fin dall’inizio scelto di non attivarsi in sede penale contro i colleghi imputati – ha ricordato l’avvocato Giuseppe Campeis –. Non avendo comunque ricevuto dall’Azienda sanitaria universitaria integrata e neppure dalla sua compagnia assicuratrice alcuna offerta in sede di mediazione, hanno avviato causa civile convenendo la prima innanzi al tribunale di Udine. Nonostante l’incontestabile responsabilità della struttura – ha concluso il legale – si procede ora all’istruzione della causa».
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