Un impero crollato in otto mesi Rilancio con imprenditori locali

MANIAGO. Cinque aziende fallite e poi riacquistate all’asta da imprenditori locali. E’ stato un epilogo amaro quello del Gruppo Transima, guidato dai fratelli Glauco, Gliano e Gladia Canderan. In...

MANIAGO. Cinque aziende fallite e poi riacquistate all’asta da imprenditori locali. E’ stato un epilogo amaro quello del Gruppo Transima, guidato dai fratelli Glauco, Gliano e Gladia Canderan. In otto mesi tutte le realtà produttive sono crollate. Nel 2013 il tribunale ha decretato il crac prima della Omci di Meduno, poi di Transima di Maniago. Nel 2014 il primo fallimento è stato quello di Metalnova, quindi di Sfei (entrambe ubicate a Maniago) e infine di Friulana Verplast di Sacile. Gli immobili sono stati messi in vendita e tutte le procedure competitive, dopo alcuni tentativi, sono andate a buon fine.

Raffaele Canderan, che nel 2014 ha fatto ripartire l’attività di Transima, si è aggiudicato Metalnova, Transima e Sfei. La Friulana Verplast è andata alla Imet di Sacile, mentre la Omci all’impresa idraulica Bema, del medunese Massimiliano Bevilacqua. Quest’ultimo sito, al momento, è stato dato in affitto alla ditta di carpenteria Mb. A investire sulle strutture del vecchio Gruppo Transima, insomma, sono stati imprenditori del Maniaghese e dello Spilimberghese e, a quasi due anni dall’ultimo fallimento, tutte e cinque le aziende hanno un futuro. In alcune l’attività è già ripartita, su altre ci sono progetti. Un quadro positivo dopo anni difficili. Una storia travagliata, quella del Gruppo, che ha visto coinvolti i lavoratori e le loro famiglie, oltre ai vertici aziendali. Questi ultimi, quando a dicembre 2013 è calato il sipario di Transima, non hanno esitato a mettere in luce che le ragioni della fine «sono legate sì alla crisi che ha lacerato le certezze e alla cattiva sorte, fattore non da poco nell’ambito imprenditoriale, ma pure alle dimensioni del gruppo aziendale ereditato e all’inesperienza». I fratelli Canderan non hanno, insomma, nascosto le difficoltà incontrate nel tenere alto il nome del Gruppo che il padre Danilo aveva portato al top. «Sapevamo che essere “figli di” avrebbe comportato un paragone continuo – avevano detto –, un’eredità pesante da portare avanti, ma la grandezza del nome porta a volte a fare scelte poco imprenditoriali e più affettive». Ora la svolta e una nuova vita per ben cinque realtà.(g.s.)

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