Un operaio friulano muorenella Cartiera di Duino
È finito nella sega circolare utilizzata per tagliare i tronchi degli alberi. È morto così, fatto a pezzi dalle lame, un operaio di 49 anni. Si chiamava Mauro Burg, abitava a Terzo di Aquileia. Lascia la moglie e due figli. L’infortunio – il terzo mortale in sei giorni nella nostra regione – è avvenuto all’interno della cartiera Burgo di Duino. La vittima non era un dipendente della Burgo, ma della Compagnia portuale di Monfalcone.

DUINO AURISINA.
È finito nella sega circolare utilizzata per tagliare i tronchi degli alberi. È morto così, fatto a pezzi dalle lame, un operaio di 49 anni. Si chiamava Mauro Burg, abitava a Terzo di Aquileia. Lascia la moglie e due figli. L’infortunio - il terzo mortale in appena sei giorni nella nostra regione - è avvenuto ieri pomeriggio all’interno dell’area della Cartiera Burgo di Duino. Mauro Burg non era un dipendente della Burgo, ma della Compagnia portuale di Monfalcone. Lavorava in pratica da «esterno».
Il taglio dei tronchi utilizzati per produrre la carta è una fase della produzione che qualche anno fa, in una delle tante ristrutturazioni attuate nell’industria di Duino, era stata esternalizzata anche nell’ottica del contenimento dei costi. L’impianto era stato ceduto dalla Burgo alla Compagnia che appunto si era impegnata a fornire il prodotto pronto per essere lavorato: era nata insomma una piccola fabbrica nella grande fabbrica.
Ieri pomeriggio Mauro Burg aveva il suo turno di lavoro. «Era prudente e meticoloso», ricorda con la voce rotta dall’emozione Franco Romano, console della Compagnia portuale di Monfalcone. «Da anni svolgeva con impegno il suo compito». L’impianto in cui è avvenuta la disgrazia è una struttura metallica arrugginita, dall’aspetto vecchio e poco rassicurante. Alta una decina di metri, è collegata con un nastro trasportatore che a sua volta parte dai binari ferroviari. Per arrivarci non ci sono strade asfaltate, ma avallamenti nel fango.
Su quel nastro passano i tronchetti di legno che arrivano alla Cartiera sui vagoni ferroviari che a loro volta giungono dal porto di Monfalcone. I pezzi di legno vengono separati a mano secondo la lunghezza: quelli che superano il metro finiscono nella sega circolare. Questo perché gli impianti interni della Cartiera accettano solo tronchi di un metro.
Ieri alle 15.30 Mauro Burg era lì su una piccola piattaforma: sotto di lui le lame della sega giravano a tutto ritmo. Poi l’uomo è caduto in avanti ed è stato trascinato dalle lame. Il fragore dell’impianto ha coperto le sue urla. Nessuno si è accorto di quanto stava succedendo. Pochi istanti dopo quello che rimaneva del suo corpo è finito nel cassone di un camion. Assieme ai pezzi di legno. Una fine orribile, incredibile, assurda.
Solo dopo qualche minuto i colleghi di lavoro (la squadra è composta da sei persone tutte dipendenti della Compagnia portuale) si sono accorti che Burg non era più al suo posto. Hanno guardato con attenzione, lo hanno chiamato. E hanno scoperto la tragica fine del loro collega.
Come è possibile che sia accaduta una disgrazia simile? Ieri se lo chiedevano tutti, carabinieri, polizia, tecnici del servizio antinfortunistica dell’Azienda sanitaria e vigili del fuoco. Fino a sera hanno controllato il mostro di metallo che a guardarlo fa pensare a un rudere preindustriale, una specie di struttura abbandonata in mezzo al fango e ai detriti, non certo a un impianto degno di una fabbrica moderna.
La zona è stata illuminata dalle fotoelettriche. Gli investigatori hanno esaminato il funzionamento delle lame della sega. Le lame avrebbero dovuto fermarsi in circostanze come questa. Il sistema di sicurezza si sarebbe dovuto attivare. Ma non è successo: le lame hanno continuato a girare agganciando il corpo di Mauro Burg.
Racconta ancora sconvolto il console Franco Romano: «Eppure quell’impianto era stato controllato la mattina stessa e funzionava regolarmente. Si sarebbe dovuto fermare...» Non aggiunge altro. Con lui ci sono i colleghi di Mauro Burg. Si dividevano i compiti: uno stava sul camion, gli altri quattro impegnati a controllare strutture vicine.
Il pm Giuseppe Lombardi è salito sulle scale di metallo arrugginito fino alla piattaforma dove lavorava Mauro Burg. Si è trattenuto a lungo. Ha parlato con tutti i presenti. «Ho sequestrato l’impianto», ha detto in seguito uscendo dalla fabbrica. Ha aggiunto: «Bisognerà fare altre verifiche, bisognerà capire perché le lame non si sono fermate».
Da 15 anni, quando cioè era stato assunto, quello di Burg era un lavoro frenetico che seguiva il ritmo veloce e incessante della macchina.
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