Una linea che creò i due blocchi

Fu tracciata nell’aprile 1945 dal generale americano William Morgan
UDINE. Un nome da eroe da spaghetti western: William Morgan. Era un generale dello stato maggiore di Harold Alexander, comandante delle truppe Alleate in Italia. E’ stato lui a tracciare la linea che ha diviso queste terre in due mondi per più di 60 anni. Zona A e Zona B, per passare ci voleva il passaporto. Con una riga, tracciata con il lapis sulla carta geografica, non solo ha tagliato in due una città – Gorizia – ma ha diviso famiglie, proprietà, cimiteri, sogni, vite. Ma il generale Morgan non sarebbe arrivato fin qui se non ci fossero state le due guerre mondiali, il fascismo in mezzo, l’occupazione titina, le foibe. Vale la pena ricordare allora quegli avvenimenti: oggi sono caduti i confini, ma quasi un secolo fa si gettavano le basi perché diventassero la cortina di ferro. Dopo la fine della Grande Guerra, nel 1920 il Trattato di Rapallo assegna all’Italia Gorizia, Trieste, l’Istria, Zara; Fiume diventa città libera, solo nel 1924 è annessa al Regno. Il fascismo sviluppa una politica di snazionalizzione e di “italianizzazione”, anche violenta, con la progressiva eliminazione di tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, l’italinizzazione delle scuole, la limitazione all’accesso degli sloveni negli impieghi pubblici. E’ in questo clima che ci si avvia al baratro del secondo conflitto mondiale. E con fascisti e nazisti in fuga, nell’aprile del 1945, comincia la corsa per Trieste. I primi ad arrivare sono i titini. Del resto, già alla fine del 1944, Edvard Kardelj scrisse: «La nostra aspirazione è conquistare Trieste e Gorizia prima degli Alleati». Kardelj, sloveno, era uno dei più importanti collaboratori di Tito, “ideologo” della via jugoslava al socialismo. L’operazione parte il 17 aprile 1945. Scrive Gianni Oliva nel suo Foibe (Mondadori): «Anzichè puntare verso Lubiana, la IV Armata jugoslava si dirige verso la Venezia Giulia con uno schieramento d’attacco a nord verso il Carso, al centro verso Fiume e a sud verso la costa dalmata, raggiungendo i confini il 20 aprile». Il 27, mentre la IV Armata continua l’avanzata, il IX Corpus sloveno punta su Gorizia, taglia il collegamento Monfalcone-Trieste: l’accerchiamento del capoluogo giuliano è completato. Trieste insorge, ma debolmente: il Cnl giuliano, senza i comunisti, ha forze esigue. La mattina del 1º maggio, le avanguardie delle truppe di Tito entrano in città. Il 2 arrivano anche gli Alleati, con le truppe neozelandesi, che il 3 si attestano a Gorizia, già occupata dal IX Corpus. Ma, come annota Gianni Oliva, se la situazione militare è risolta quella politica è un magma: unico caso in Europa, ci sono due eserciti sovrapposti, nessun modello amministrativo è praticabile, in tutto il Friuli Venezia Giulia si gioca una partita cruciale tra il blocco occidentale e l’Urss. L’Ozna, la polizia politico-militare titina, comincia un’operazione di normalizzazione violenta: per strada solo vessili jugoslavi e sloveni, gli avversari politici sono imprigionati. Scrive Kardelj: «Non si conceda troppa democrazia, in seguito sarà più facile ampliarla che ridurla». E’ l’epurazione, la gente sparisce nelle foibe, che non sono «cavità carsiche, solitamente di origine naturale, con ingresso a strapiombo», ma una straordinaria occasione di vergogna: migliaia di persone, spesso colpevoli solo di essere italiane, spariscono nel nulla. L’atteggiamento degli Alleati è prudente. Mentre Tito fonda su una formidabile base militare le future rivendicazioni politiche, Washington e Londra non vogliono lo scontro armato. Anche Mosca temporeggia, Stalin non ha interessi ad aprire un conflitto per la Venezia Giulia. Ed ecco che entra in scena il nostro William Morgan: occhi sulla cartina divide la Venezia Giulia in due zone: la A – Trieste, Gorizia, la fascia confinaria della provincia di Udine fino a Tarvisio e l’enclave di Pola – sotto il controllo alleato; la B – Fiume, l’Istria, le isole del Quarnaro – amministrate da Belgrado. Comincia la difficile normalità: Tito e il generale Alexander firmato l’accordo, le truppe titine lasciano la zona A. E’ il via a una “normalizzazione” che vedrà il ritorno all’Italia della zona A solo nel 1954, nove anni dopo la fine della guerra. Sono passati 53 anni, il mondo è cambiato, l’Europa è in pace, i confini sono caduti. Tutti. Ma in quei giorni così pericolosi, Winston Churchill disse: «Nella Venezia Giulia abbiamo rischiato di rimanere fuori dalla porta, e siamo riusciti a infilare il piede prima che l’uscio si chiudesse». Adesso la porta è spalancata, vediamo di ricordarlo

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