Una vita dedicata agli esplosivi, morto l’imprenditore Pravisani

Il mondo dell’industria friulana perde uno dei propri cavalli di razza, erede di una dinastia che fin dall’Ottocento ha rappresentato un punto di riferimento nella fabbricazione e nel confezionamento degli esplosivi. È morto ieri mattina, a 86 anni, Mariano Pravisani: il suo nome è indissolubilmente legato al dinamitificio di Sequals e alla fabbrica di Colloredo di Prato, che porta il suo nome, specializzata nella produzione di macchinari per l’industria chimica. Lascia l’amata moglie Anna, che aveva sposato nel 1978, la figlia Marianna e i nipoti Alfonso e Alfredo. Data e luogo dei funerali devono essere ancora fissati.
Figlio d’arte, Mariano ha affiancato in azienda il padre Aldo fin dal 1960, alla Dinamite spa di Mereto di Tomba, dopo essersi diplomato allo scientifico del collegio San Pio X di Treviso e aver conseguito la laurea in chimica a Ferrara. È di quegli anni la nomina a presidente del Policlinico (oggi Casa di cura) Città di Udine, appena fondato dal papà, con le stanze «progettate simili a quelle degli hotel Hilton», ricordava il dottor Mariano in un’intervista rilasciata a Mario Blasoni e pubblicata sul Messaggero Veneto nel 2007, in occasione del centenario della nascita del capostipite. Da Mereto i Pravisani si spostano a Sequals, inaugurando nel 1968 l’azienda che produce emulsioni esplosive e che è stata ceduta di recente alla madrilena Maxam.
A Colloredo nasce la Mariano Pravisani e co., mentre la famiglia investe pure a Orbetello, nel Grossetano, rilevando il polverificio Sipe-Nobel, chiuso poi nel 1992. Il minimo comun denominatore? Gli esplosivi, naturalmente. Basta sfogliare all’indietro l’album dei ricordi della famiglia Pravisani per imbattersi nella figura di Gesualdo Pannilunghi, che di Mariano sarebbe stato il bisnonno: arrivò a Udine da Arezzo nel 1866 con le truppe italiane liberatrici e pochi anni dopo, nel 1872, aprì in piazza XX Settembre il negozio di armi e munizioni che fino allo scorso anno ha portato il suo nome, pur trasferito in piazza Garibaldi.
Per anni in cima alla classifica dei “paperoni” udinesi, Mariano ha fatto capolino in fabbrica fino all’ultimo, per stare vicino ai suoi lavoratori, una vera e propria seconda famiglia. «Non era solo lavoro: c’era l’affetto per i dipendenti, il rispetto per chi lo attorniava. Era un buono, generoso, che trattava i dipendenti come figli», ricorda commossa la figlia Marianna. Quando voleva rilassarsi, Pravisani si trasferiva nella sua tenuta sulle collone pisane, tra la valle del fiume Sterzae quella del Cornia: acquistata negli anni Settanta dal papà, negli ultimi lustri era diventata la passionaccia del dottor Mariano, che aveva preso a produrre un rosso corposo, subito ribattezzato “Santa Barbara”, la santa protettrice degli esplosivisti. —
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