«Uno scatto d’orgoglio per palazzo Antonini»
UDINE. Palazzo Antonini deve restare in mani friulane e possibilmente di proprietà di un ente pubblico. E’ quanto auspica “Italia Nostra”, all’indomani della pubblicazione, sul sito Internet dell’advisor “Colliers Exit One” del presso a base d’asta (12,5 milioni di euro per entrambi i lotti, compreso l’attiguo “Palazzetto”) per aggiudicarsi l’edificio di via Gemona, fino a qualche anno fa sede di Bankitalia.
«Contiamo in uno scatto d’orgoglio del territorio - spiega la presidente della sezione udinese Michela Cafazzo -. Si tratta dell’unica opera realizzata da Andrea Palladio fuori dal Veneto, teniamoci per noi questo tesoro, questo pezzo davvero unico. E’ già da tempo che stiamo lottando, abbiamo fatto anche una raccolta di firme, qualche anno fa. Il prezzo fissato per l’asta ritengo sia davvero basso, enti e istituzioni del Friuli Venezia Giulia dovrebbero fare uno sforzo per non lasciarsi sfuggire la proprietà. E penso che questo potrebbe diventare un tema importante anche per l’imminente campagna elettorale».
Sulla questione interviene anche Diana Barillari, del Consiglio direttivo di “Italia Nostra”. «Bonaldo Stringher - osserva Barillari - leggendo degli sviluppi riguardanti la vendita del palazzo avrebbe pensato a un dejà-vu visto che fu proprio lui ad affrontare in prima persona nel 1899 lo stesso problema, con la differenza che allora era la famiglia Antonini a trovarsi in difficoltà e la grande proprietà immobiliare rischiava di fare una brutta fine: è passato invano un secolo verrebbe da commentare congratulandosi nel contempo con Gianbattista Vico. Ma all’epoca nel tanto vituperato stupido Ottocento si trovava ancora un presidente di Banca centrale disposto a sfidare l’indebitamento e le inevitabili critiche per salvare un capolavoro: ora gli immobili di pregio si mettono all’asta e tanto meglio a chi li acquista. Quando Stringher decise di far acquistare alla Banca d’Italia l’unico palazzo di Palladio costruito fuori dal Veneto, il Regno d’Italia attraversava una periodo di crisi severo, le finanze erano sotto stretta sorveglianza e la spending review, magari con altra denominazione, era già stata inventata: ma di fronte al rischio di perdere un pezzo pregiato del patrimonio non solo cittadino ma dell’umanità, il Governatore (con la G maiuscola) non ebbe tentennamenti e salvezza fu».
«Che cosa è cambiato nell’arco di un secolo, allora? Certamente il tipo di profilo culturale espresso dalle istituzioni - continua Barillari -, in primis quelle finanziarie, capaci di scegliere come operare investimenti e tagli, disposte a correre il rischio di sostenere le spese di un edificio per oltre un secolo avendo come unico ritorno la consapevolezza dell’importanza del manufatto e della sua eccellenza artistica. Tutto qui, ma una differenza abissale con lo scenario odierno dove scarseggia la cultura prima che i soldi. Anche all’epoca di Stringher le finanze piangevano. Solo che lo sguardo era prospettico e lungimirante, alto, mentre adesso sembra che faccia furori il pensiero “bonsai”. Ma forse gli uomini di buona volontà, tra amministratori, banchieri, industriali e professionisti stanno solo aspettando di fare bella figura. Anche se soltanto la città nel suo complesso potrà decretare la sorte del palazzo. Ora è arrivato il momento delle scelte coraggiose e anche un euro può fare la differenza tra cittadini e sudditi: basta assumersi la responsabilità delle proprie scelte».
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