Upim, 8 marzo amaro per le commesse

Udine, in lacrime per la chiusura del negozio. E al Punto di ascolto antimobbing quasi la metà delle segnalazioni viene dalle donne
Udine 13 Dicembre 2012 upim Copright Petrussi press Turco
Udine 13 Dicembre 2012 upim Copright Petrussi press Turco

UDINE. Hanno servito fino all’ultimo cliente cercando di fermare le lacrime. Non ci sono riuscite. Ha un gusto amaro questo 8 marzo per le commesse della Upim che celebreranno la festa della donna con la certezza di aver perso il proprio lavoro.

Sono mogli, madri single, ragazze che progettano di sposarsi, alcune hanno un decennio di esperienza alle spalle, altre ne hanno addirittura più di venti, ma la sorte è comune: un anno di mobilità per quelle che hanno fino a 40 anni, due per quelle che arrivano ai 50. Una settimana per impacchettare la merce al secondo piano, e poi a casa.

A perdere il lavoro saranno in 15, fra loro due magazzinieri. Per il resto sono donne e solo un paio di loro dovrebbe fare in tempo ad andare in pensione. Da qualche giorno l’insegna Upim si è accesa al posto dell’ex Bernardi, tra via Stringher e via Savorgnana, che è stato chiuso, ma il personale che vi lavorava è stato mantenuto. Quindi per i dipendenti Upim, tranne il direttore, non c’era alcuna possibilità di essere assorbiti.

«Ho spedito curriculum e richieste a partire dal mese di novembre, ma ancora non ho avuto risposte» si lascia sfuggire una delle commesse mentre piega articoli per la casa sotto gli sguardi mesti delle colleghe. Poi arriva una responsabile, le riporta tutte all’ordine e ricorda loro «che non c’è tempo per le stupidaggini», forse dimenticando che la perdita del lavoro non è che si possa proprio liquidare così. Evidentemente, di questi tempi non c’è più posto per la comprensione o la “sorellanza” al palazzo Upim, ex sede del cinema Eden realizzato dall’architetto Provino Valle nel 1922 dove, una dopo l’altra, le luci si spengono, e con loro le speranze.

Stessa sorte per le commesse del negozio “Capello point” al Città Fiera. Le tre dipendenti hanno finito le operazioni di trasloco un paio di giorni fa e ora sono a casa. «L’azienda ce lo ha detto solo pochi giorni prima di chiudere, ancora dobbiamo capire che cosa fare», spiegano.

Per i dieci dipendenti del Coin l’attività si è conclusa con la fine del mese scorso, nove di loro erano donne.

«Il settore commerciale vede la prevalenza del personale femminile e spesso sono le prime ad andare a casa, perché gli impegni familiari le rendono meno flessibili – commenta il segretario della Fisascat Cisl, Paolo Duriavig –. Nella vertenza Upim abbiamo cercato una soluzione per ricollocare subito il personale, ma di questi tempi non è facile trovare un posto per 15 persone».

E, se da un lato, le donne sono le prime a perdere il posto di lavoro in situazioni di crisi, dall’altro vantano anche il triste primato di essere i bersagli più ricorrenti in caso di mobbing, almeno stando ai dati raccolti in 5 anni di attività dal Punto di ascolto antimobbing aperto dalla Provincia di Udine: ben 432 delle 703 richieste di aiuto giunte allo sportello provenivano da donne che denunciavano situazioni di disagio lavorativo.

Stando ai dati diffusi dal Punto di ascolto (che, ha assicurato l’assessore Elena Lizzi, proseguirà la propria attività nel corso dell’anno con la prospettiva di un ampliamento e un potenziamento) si tratta di problematiche che si manifestano attraverso umiliazioni e critiche ingiustificate, svuotamento delle mansioni, ripetuti trasferimenti di sede e di reparto, eccesso di controllo sul lavoro, ma anche attribuzione di compiti squalificanti, marginalizzazione dall’attività lavorativa o esclusione dalle attività di formazione.

Ce n’è abbastanza per concludere che ci vuol più di una mimosa per rendere omaggio alla popolazione femminile.

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