Va a lavorare malato e contagia i pazienti: primario accusato di epidemia colposa

BELLUNO. Visite in Otorinolaringoiatria senza mascherina. Era scoppiato così un focolaio di Covid-19 all’ospedale San Martino di Belluno. Lo scorso febbraio furono coinvolti in prima battuta pazienti e medici, poi il contagio si era allargato anche a persone esterne all’ambito sanitario.

La Procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta, indagando il primario del reparto Roberto Bianchini per l’ipotesi di reato di epidemia colposa aggravata. Raffaele Zanella (presidente), Antonella Fabbri, Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot (componenti) dell’Ufficio Procedimenti disciplinari dell’Usl 1 Dolomiti, invece, devono rispondere di falso materiale e ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale aggravato, perché avrebbero aiutato il medico a evitare le indagini, dopo che il direttore sanitario Giovanni Maria Pittoni e il direttore generale Adriano Rasi Caldogno avevano sentito la necessità non solo di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’indagato, ma anche di informare la magistratura.

Nel corso delle indagini, alla fine di giugno, il procuratore della Repubblica, Paolo Luca, aveva chiesto per Bianchini la sospensione dal pubblico servizio di dirigente dell’Unità operativa complessa di Otorinolaringoiatria e dall’esercizio della professione medica; per Zanella la sospensione dalla pubblica funzione di responsabile della Direzione medica dell’azienda sanitaria; per Fabbri la sospensione dalla funzione di responsabile dell’ufficio Affari generali. Tre mesi per tutti.

Ma il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Belluno, Elisabetta Scolozzi, ha rigettato la richiesta con l’ordinanza del 24 luglio. La Procura l’ha impugnata con un appello al Tribunale dei Riesame, che è stato a sua volta rigettato. Le motivazioni in 45 giorni, vale a dire entro il 15 novembre, perché si tratta di un caso eccezionale. Bianchini avrebbe violato il Codice di deontologia medica e le disposizioni delle autorità competenti per contrastare l’emergenza sanitaria.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il 25 febbraio il medico era tornato da una vacanza in Thailandia, rientrando subito in servizio senza comunicare alla Direzione medica di provenire da un Paese classificato a rischio epidemico dall’Organizzazione mondiale della Sanità.

Il medico avrebbe fornito false informazioni al Servizio Igiene e sanità pubblica, dicendo di non aver frequentato luoghi affollati e di non aver fatto tour turistici, ottenendo l’autorizzazione a rimanere in servizio con l’inganno. Non avrebbe segnalato ad alcuno di avere sintomi compatibili con il Covid -19, a partire dal 3 marzo, evitando così di fare il test diagnostico e continuando a lavorare sia in ospedale che in libera professione fino al 9 marzo, senza mettersi in quarantena.

Ma soprattutto avrebbe effettuato visite specialistiche senza indossare il dispositivo di protezione individuale, pur essendo a stretto contatto con i pazienti. Essendo positivo, avrebbe così provocato un focolaio, contagiando direttamente quattro persone, le quali hanno a loro volta trasmesso il virus a una decina di contatti. Alla fine fu necessaria la sorveglianza domiciliare per una settantina di persone e 106 sanitari dell’ospedale.

Il caso era approdato davanti all’Ufficio Procedimenti disciplinari, che doveva valutare il comportamento di Bianchini. Zanella, Fabbri, Bortoluzzi e Bortot sono accusati di aver scritto un verbale della seduta del primo aprile con delle falsità: ovvero che Bianchini era tornato il 26 febbraio e non il 25 e che il medico aveva comunicato con tempestività di essere rientrato dall’Oriente.

Non sarebbe stato scritto, invece, che il primario aveva omesso di comunicare l’insorgenza dei sintomi, che non si era messo in autoisolamento e che non usava la mascherina, salvo quando operava. Con questo documento e la loro condotta, anche nei confronti della polizia giudiziaria, avrebbero aiutato Bianchini a eludere le investigazioni della Guardia di finanza e della Procura.

Per quest’ultimo reato di favoreggiamento personale, è contestata l’aggravante dell’aver commesso il fatto con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. Il periodo contestato arriva fino al 28 aprile. Non risulta che ci siano stati provvedimenti disciplinari, perché non sarebbero emersi elementi di particolare rilievo. —

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