Vaia, cinque anni dopo la tempesta: «È stata una bomba ad orologeria, ora dobbiamo studiare le foreste del futuro»

Dall’Alto Agordino al Comelico, dall’Altipiano di Asiago alla Carnia, passando per il Trentino, i boschi infestati dal bostrico sono maculati di grigio secco. Cosa è successo a fine ottobre del 2015 e come cambieranno i nostri boschi ce lo spiega Andrea Battisti, entomologo e docente all’Università di Padova (Dipartimento Dafnae) e consulente della Regione Veneto.

L'esondazione del Noncello durante la tempesta Vaia del 2018
L'esondazione del Noncello durante la tempesta Vaia del 2018

Una bomba ad orologeria innescata da Vaia. A cinque anni dalla tempesta che tra Veneto, Friuli, Trentino Alto Adige e Lombardia orientale ha spazzato via 16 milioni di piante, l’infestazione di bostrico alimentata dagli schianti ha attaccato altrettanti alberi rimasti in piedi, e non è finita anche se si stima (e si spera) che il peggio sia alle spalle.


Dall’Alto Agordino al Comelico, dall’Altipiano di Asiago alla Carnia, passando per il Trentino, i boschi sono maculati di grigio secco. «Stimiamo che il bostrico stia causando una quantità di danni ai boschi alpini che equivale grossomodo a quella di Vaia, con un’esplosione la scorsa estate quando le piante stressate per le alte temperature e le scarse piogge non hanno potuto opporre resistenza», dice Andrea Battisti, tra i più autorevoli entomologi italiani, docente all’Università di Padova (Dipartimento Dafnae) e consulente della Regione Veneto.


Professore, il bostrico è comparso nel 2019. Oggi è nel pieno della maturità o sta declinando?
«I sintomi comparsi in misura eclatante nel 2022 non sono stati altrettanto evidenti quest’anno. Le piante hanno mantenuto gli aghi verdi più a lungo in quanto è piovuto di più e le temperature sono rimaste fresche. Ciò non significa che l’attacco sia terminato. È in corso e mi pare che nelle ultime settimane, in cui c’è stato un po’ di caldo e di asciutto, sia tornato ad espandersi».

Quali possono essere le cause di queste nuove espansioni?
«Le piante rispondono meglio agli attacchi se sono in condizioni fisiologiche ottimali, quindi con buona disponibilità idrica, adeguata disponibilità di elementi nutritivi, luce e altri fattori che ne regolano l’attività. La pianta stressata idricamente resiste molto meno agli attacchi. E le alte temperature accelerano lo sviluppo dell’insetto e così fanno portare a compimento più generazioni nella successione da uovo a larva a pupa e così via»


Quali sono i territori da monitorare con maggiore apprensione?
«La cosa interessante è verificare che gli attacchi si stanno manifestando in aree appunto diverse da quelle del 2022. Ad esempio nelle valli del Comelico, dove Vaia nel 2018 aveva colpito poco o niente e dove l’anno scorso non si erano rilevati segnali. Accade altrettanto ad Auronzo, in Val d’Ansiei e sull’altipiano di Asiago. La storica foresta di Somadida, lungo la strada che da Auronzo porta a Misurina, rischia di perdere metà delle piante. E questo perché il bostrico è un animale che si sposta molto facilmente su grandi distanze: abbiamo a che fare con un elemento difficilmente prevedibile»


A rischio anche la valle olimpica che porta a Cortina, intendiamo la Valle del Boite?
«Sulla parte sinistra, occupata dall’abete rosso, gli attacchi sono evidenti. Non altrettanto sulla parte destra, salendo verso Cortina, perché su questi versanti il bosco è misto: abete rosso, abete bianco, larice, altre piante»


Questo significa che gli antagonisti ancora non si sono palesati a sufficienza?
«Gli antagonisti ci sono, sono presenti ovunque. In Friuli sembra che siano più concentrati che nelle altre regioni perché lì il bostrico c’era già prima di Vaia. Ma bisogna considerare che questo insetto ha una forte attitudine a spostarsi, sembra che lo faccia quasi apposta: per lasciare indietro gli antagonisti che lo devono inseguire».


I cambiamenti climatici, quindi, influiscono in misura determinante?
«Proprio così. Come dicevo, le temperature alte favoriscono l’insetto, sfavoriscono la pianta, specie quella dell’abete rosso. Anche il larice, l’anno scorso, ha avuto dei problemi, ma diversi: di attacchi da altre specie di insetti. I danni per il larice quest’anno sono parzialmente rientrati»


Non resta che immaginare, o meglio studiare le foreste del futuro?
«L’obiettivo è fare delle previsioni che servono come indicazione di quelle che saranno le foreste del futuro perché è evidente che sia il danno della tempesta sia il danno dell’insetto portano verso una successione ecologica verso forme che avranno delle altre caratteristiche vegetazionali».


Vale a dire?
«È evidente che per i boschi nuovi bisogna tenere conto del cambiamento climatico, perché l’abete rosso sulle Alpi Sud-orientali è arrivato al suo limite fisiologico. Non dico che scomparirà ma che la sua estensione si ridurrà fortemente. E, in ogni caso, bisognerà metter mano ad una nuova vivaistica, dopo che da vent’anni la stiamo trascurando. "Veneto Agricoltura” l’ha fortunatamente conservata, anzi valorizzata, ma su piccole dimensioni».

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