Veci e bocia concordi: "Ripristinate la leva" - Le dirette video delle sfilata

Non lo chiedono i nostalgici, in prima fila ora ci sono soprattutto i giovani. L’amore per gli alpini nelle storie dei friulani arrivati da Pordenone e Udine

TREVISO. L’appello, di veci e bocia friulani, è univoco e unisono: ripristinare il servizio di leva. Non lo chiedono i nostalgici, non lo chiedono i militaristi, lo chiedono, a sorpresa, soprattutto i giovani: «È sotto gli occhi di tutti – dicono – che serva maggiore disciplina, in questo paese». Poi, ci sono quelli che l’alpinità ce l’hanno nel cuore o in casa e che, volontariamente, hanno chiesto di essere arruolati nel glorioso corpo che oggi festeggia il gran finale dell’adunata, con la sfilata e il bagno di folla.

<iframe src="https://www.facebook.com/plugins/video.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fmessaggeroveneto%2Fvideos%2F10154719260858237%2F&show_text=0&width=100%" width="400" height="400" style="border:none;overflow:hidden" scrolling="no" frameborder="0" allowTransparency="true" allowFullScreen="true"></iframe>

Quando hanno fatto (e passato) il concorso da volontari, nel 2009, la leva non c’era già più, tecnicamente sospesa, di fatto abolita. Loro sono a Treviso e sono Davide Avon, 27 anni, di Sequals, Sebastiano Princisgh, 29 anni, di Lauzacco e Fabio Romano, 28 anni, di Basiliano, con alle spalle due missioni in Afghanista, con la Brigata Julia. Sono in servizio a Venzone, all’8° reggimento.

«È stata una scelta personale – si limitano a dire dal momento che sono in servizio permanente –, di cuore e di passione. Il servizio di oggi, ad ogni modo, è ben diverso da come lo raccontano i nostri veci». Sono figli di alpini, coscritti di ragazzi che il servizio di leva l’hanno solo sentito raccontare, forse dai padri: «E sono interessati e incuriositi, dal momento che oggi questa realtà non è poi così conosciuta».

Enrico Querini, di San Daniele, è sergente maggiore capo della Brigata Julia. Naia (all’epoca obbligatoria) nella cavalleria, a Trieste, ma «il mio obiettivo erano gli alpini. Eppure allora non si poteva scegliere. Così, terminato il servizio di leva obbligatorio, mi sono arruolato, a vent’anni. Era il 1992. Oggi non solo consiglierei questa esperienza, ma la riterrei utile per tutti i giovani, magari per un semestre».

Col sottufficiale ci sono anche il capogruppo, Alessandro Lepore, maresciallo custode del sacrario di Cargnacco, e Massimo Danielis: «All’adunata si viene per ritrovare gli amici, i compagni di naia, gli anziani che raccontano le loro avventure di naia e di vita, ma anche per tornare indietro con il tempo. Una volta tutto era un po’a sorpresa, o lasciato al caso o organizzato con mesi di anticipo. Oggi, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, Facebook o Whatsapp o altro, ci si mette d’accordo in pochi minuti e si crea l’evento».

Sì al ripristino della leva. Parola di un giovane e di un “meno giovane”, accomunati dalla professione: agente di polizia municipale a San Daniele. Il primo è Ermes Bonora, classe 1984, tra gli ultimi chiamati “obbligatoriamente” a Remanzacco, il secondo, in pensione, è Giuseppe De Monte.

Nella Marca sono con la fanfara degli alpini di Gemona. «Un po’di servizio di leva starebbe ancora bene sì», si limitano a dire loro che, sulla strada, ci sono (o sono stati) ogni giorno e hanno vissuto in prima persona «la mancanza di senso civico, di educazione», dice un amico di gruppo. Chi è arrivato tardi, quando la leva non c’era più, è Gabriele Tonizzo, 26 anni, che, con gli “Amici degli alpini” sfilerà la prima volta, oggi. «Ma se oggi la leva fosse ripristinata, non avrei problemi a svolgere servizio, anzi. Ovviamente con gli alpini». Sì alla leva, dice anche Franco Simeoni di San Quirino: «Io la rifarei subito. Dà una impostazione di vita, mette le persone davanti ai diritti, ma anche ai doveri».

Roberto De Caro è l’ultimo alpino di Cordovado chiamato obbligatoriamente alla leva. Di conseguenza, pur capogruppo, è il più giovane. «Oltre alla leva obbligatoria ho fatto un anno da volontario al battaglione logistico della Julia. Restare anche dopo? Quando hai 19 anni non ci peni, poi però ti domandi perché non lo hai fatto. Se oggi mi richiamassero ci tornerei immediatamente», sorride mentre perlustra il percorso della sfilata assieme ad alcune penne nere di Sesto al Reghena. «Chi è alpino – dice Michele Gerometta – conserva per tutta la vita, ad esempio, l’odore della roba che ti danno in caserma, degli anfibi, magari usati».

Hanno prestato servizio da volontari a Cividale, un anno anziché dieci mesi, Matteo Romanelli, 33 anni, di Remanzacco, e Matteo Mondolo, coetaneo di Lumignacco. «Si era in piena emergenza post 11 settembre, presidiammo l’aeroporto di Verona e la centrale di Trino Vercellese, ma non venivano certo trascurati i servizi ordinari». Stessa “sorte” di Francesco Titon, classe 1980, con gli amici di Terenzano e Cargnacco, che da volontario ha svolto pure una missione in Bosnia: «Naia da ripristinare, anche per le donne. Oggi manca soprattutto lo spirito di sacrificio».

Sabato, giro di boa per l’adunata numero 90. È il giorno degli incontri ufficiali e istituzionali, delle delegazioni estere, dello spettacolo dei parà, della messa in ricordo dei caduti, dei concerti di cori e fanfare, sino a notte fonda. Stamattina, come a tutte le adunate, Treviso sarà tutta in ordine, pronta ad accogliere la sfilata: un giorno intero di emozione. «Se sia stata meglio di quella di Pordenone lo scopriremo alla fine» dicono Lino Perissinotto e Luigi Violin di Savorgnano. «A Nordest questi eventi sono sempre molto sentiti». E, la sensazione, è che l’adunata del Piave sia una di quelle che non si dimenticheranno mai.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:alpini

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto