Veneto banca, una memoria accusa anche i direttori di filiale

L’autodenuncia di un ex impiegato è allegata alle querele dei risparmiatori. «Avevamo la direttiva di raccogliere tanti soci e di persuaderli a non vendere»
Ferrazza Venegazzù sede Veneto Banca
Ferrazza Venegazzù sede Veneto Banca

TREVISO. Non solo i vertici di Veneto Banca, ma anche i quadri intermedi. L’offensiva giudiziaria dei risparmiatori che hanno deciso di agire in sede penale oltre che civile, chiama in causa una figura finora rimasta sullo sfondo: quella del direttore di filiale. Il presupposto dal quale partono i clienti “traditi” dell’istituto di Montebelluna, è che i direttori fossero a conoscenza della reale situazione della banca e, malgrado ciò, abbiano venduto azioni a prezzo sopravvalutato e concesso finanziamenti a soggetti a rischio.

A sostegno di tale ipotesi spunta ora la dichiarazione dell’ex dipendente di una filiale del Trevigiano che denuncia tali meccanismi sostenendo l’esistenza di una direttiva e il fatto che tutti sapevano. Il documento è stato ora inviato alla Procura di Roma, allegato alle circa 4 mila querele di clienti nelle quali si ipotizzano svariati reati, dall’associazione per delinquere alla truffa.

E poiché il fascicolo per truffa sta tornando dalla capitale a Treviso, è prevedibile che sarà la magistratura veneta a valutare eventuali violazioni in capo ai direttori di filiale con riferimento a ipotesi di raggiri contrattuali. Ma ecco cosa rivela l’ex impiegato nella nota da lui firmata (omettiamo il nome, che in querela compare) e agli atti degli inquirenti: «Ci era pervenuta una direttiva che ci assegnava l’incarico di raccogliere più soci azionisti possibili perché la Banca aveva problemi di vecchi crediti deteriorati da coprire e, quindi, aveva la necessità di recuperare denaro per rappresentare un patrimonio netto che rientrasse nei parametri di legge». Tra il 2007 e il 2014 gli azionisti salgono da 22 mila a 88 mila.

Ancora: «Tutti i miei colleghi erano a conoscenza di ciò e dichiararono anch’essi ai clienti che l’investimento in azioni e/o obbligazioni della Banca erano sicuro e che nel tempo avrebbero ulteriormente aumentato di valore. Per convincere i clienti alla sottoscrizione delle azione, dalla Direzione ci era stato inviato un grafico rappresentante la crescita passata e le attese per il futuro, inoltre facevamo vedere i bilanci e le certificazioni della società di revisione PricewaterhouseCoopers».

Quando i clienti cominciarono a chiedere di vendere le azioni, arrivarono nuove disposizioni, sempre secondo tale ricostruzione: «Ricevemmo le direttive di convincere i clienti a non vendere, garantendo ancora la sicurezza dell’investimento e, nel caso di necessità del denaro da parte degli azionisti, potevamo fare finanziamenti senza preoccuparci dei parametri di garanzia restitutoria, fondando il rischio sulle azioni poste in pegno da statuto».

Un documento, questo, ritenuto dai risparmiatori fondamentale per chiarire quanto accaduto e per arrivare alla contestazione della truffa. «L’ex impiegato si autodenuncia e denuncia i rapporti di sudditanza nonché l’influenza sui clienti per rastrellare denaro senza criteri di garanzia», afferma l’avvocato Sergio Calvetti alla guida dei risparmiatori che si sono rivolti alla magistratura.

«Sono innocente. E fiducioso di poter chiarire tutto». Intanto l’ex presidente del Cda di Veneto Banca Flavio Trinca, indagato dalla Procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta su aggiotaggio e ostacolo all’attività delle autorità di vigilanza, ha chiesto di essere interrogato. Dopo la chiusura delle indagini, l’ex uomo di vertice di Montebelluna - che finora non è mai stato sentito dagli inquirenti - potrà dunque spiegare la sua posizione.

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