Venezia 70, il Friuli Vg al Lido

Oleotto-Teardo alla Mostra del cinema, registi della new age fra osmize e Berlinguer

Non servirà sporgersi troppo dalla prua della barca per guardare da lontano il cinema della Mostra. Stavolta scenderemo sul serio all’imbarcadero del Lido in piazza S.M.Elisabetta con borse e appendiabiti.

Il Friuli Venezia Giulia, oltre a essere regione confinante e generosa nel far partire da casa verso la Laguna un pubblico curioso, non ha mai oltrepassato le transenne con decisione, si è fermato prima, coi suoi numerosi festival a spottare gli eventi nella piccola città dei gazebi. In quell’area dei giardini dove si circola in libera espressione, divorando panini con l’occhio sulla raccolta dei dvd. Faremo volentieri quattro passi in più, nell’edizione settanta, da mercoledì 28 al 7 settembre, stesso luogo, e ancora con le grandi fondamenta del nuovo palazzo a un niente da quello vecchio.

Un film completamente nostrano, pensato qui, sviluppato qui, girato qui, che sarà distribuito dalla friulana Tucker, in Italia, e in Europa dalla triestina Slingshotfilms, compare nella ristretta scelta de La settimana della critica, unico isolato prodotto nazionale (coproduttore, Staragara), giuliano di provenienza con forti connotazioni slovene, ovvero Zoran, il mio nipote scemo, di Matteo Oleotto con l’udinese Giuseppe Battiston. (Proiezione: martedì 3 alle 14, in sala Darsena, mercoledì 4, alle 19.45, sala Casinò).

Sarà un fuori concorso atipico, per struttura e formazione, La voce di Berlinguer (proiezione: 29 agosto, alle 9 in sala Grande, 30 agosto, alle 17 in sala Perla, 6 settembre, 19.30 in sala Darsena). Letto così senza conoscerne l’anima, sa di documentario, quale in effetti è. Oltre alla duplice firma - Mario Sesti, critico cinematografico di griffe, e Teho Teardo, musicista di altrettanto peso specifico e autore di colonne sonore pluripremiate - l’operazione racchiude una unicità di costruzione che si regge sulla potenzialità narrativa del suono. Il pordenonese Teardo e il goriziano Oleotto, registi a Venezia in un solidale debutto, rappresentano la new age della cinematografia del profondo Nord-Est.

Matteo è figlio del Fondo per l’Audiovisivo, un quinquiennio di slanci a favore delle buone idee, e Teho un infaticabile innovatore. Entrambi condividono la leggerezza di un talento che rifugge dalla staticità. Tocca indietreggiare al 2008 per ritrovarci nel bel mezzo di una elaborazione. Zoran non è ancora lui, ma si comincia allora a intravederne i contorni somatici. Davanti a un caffè il produttore Igor Princic di Transmedia e Oleotto cominciano a plasmarlo.

«Matteo ci crede, lo ascolto con l’immaginazione giusta - spiega Princic - e penso che tutto ciò potrebbe non esaurirsi così, in un bar di Gorizia. Esiste un prima e un dopo la creazione del Fondo; prima bisognava restringere i sogni e accontentarsi, dopo - in caso di progetto intrigante - potevi pure scommetterci. Il denaro per lo sviluppo consente una partenza con più coraggio. E così nel 2009 ci siamo intascati la bozza della sceneggiatura, con la possibilità di svilupparla in un workshop internazionale. Altro step un doveroso tour per festival e mercati - e dico Cannes, Berlino, Sofia, Roma - e la conclusiva ricerca di stanziamenti. In caso di coesistenza pacifica delle varie fasi, il film si può dire fatto».

Attesa non vana. Venezia se l’è conteso, è piaciuto a tutti i curatori delle rassegne. «È una commedia, racchiude comicità e dramma, nel buon nome di un’eccellenza tutta italiana. L’habitat è la tipica osmiza, il luogo del bere e del mangiare fatto in casa. «Ci pareva carino, durante il giro promozionale, addolcire gli ospiti con il prodotto tipico e giù calici di quello buono. Che poi è il mood del film. E la creazione di Casa Zoran, proprio al Lido, ci sembrava l’atmosfera perfetta per rivivere la storia di Paolo, burbero e misantropo abitante dei luoghi del gusto, fino al fatale incontro con un quindicenne occhialuto campione di freccette. L’osteria asburgica rappresenta anche il simbolo del mio raggio d’azione professionale, i Paesi coi quali stringo patti cinematografici, non ultimo quello con la Slovenia per un accordo bilaterale che favorirà le cooperazioni artistiche».

C’è della fatalità pure in un ascolto. C’è una fatalità in ogni creazione. «Io lavoro con le orecchie - spiega Teho - e qualunque suono può sprigionare armonie nuove, anche un discorso di un politico, perché no. Stregato da una voce - ammette il compositore - stupito da un canto senza foga, senza arroganza, come non più si ascoltano. Berlinguer, e non sto a innalzare colori o posizioni, apparteneva all’epoca delle ideologie autentiche, nessuna ferocia nella lotta. Insomma, il nastro ha una quarantina d’anni ed è pieno d’imperfezioni. Mi dedico a quelle, l’insieme è musica. Chiamo Mario (Sesti, ndr), e c’intendiamo subito. Le immagini seguiranno, in uno schema ribaltato».

Con entrambi, Princic e Teardo, scivoliamo appositamente dentro il solito peccato contemporaneo: la comodità della clonazione artistica. Osano in pochi, ma se non osi non vinci. E se non ti interessa vincere, allora lascia perdere. Loro, intanto, non guarderanno il Lido dal vaporetto.

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