Venzone pietra su pietra il grazie dei friulani all’ideatore del restauro - Foto

La consegna del premio Maqôr Rusticitas a Remo Cacitti. Lo studioso l’ha diviso con il progettista e chi non c’è più
Venzone 04 Giugno 2016 Premio Pressacco Copyright Petrussi Foto Press / Bressanutti
Venzone 04 Giugno 2016 Premio Pressacco Copyright Petrussi Foto Press / Bressanutti

VENZONE. Alla fine il professor Remo Cacitti, si è commosso. Sabato sera, nel duomo di Venzone era impossibile rimanere indifferenti. La consegna del premio Gilberto Pressacco Maqôr Rusticitas a Cacitti, l’uomo che 40 anni fa si battè contro il potere economico che suggeriva di cancellare i paesi distrutti dal terremoto a favore della grande Udine, si è trasformata in un momento di riflessione sul significato di quelle lotte che consentirono di non fare a pezzi l’identità di un popolo.

Il rigore di Cacitti, il suo senso di appartenenza e il suo essere libero, hanno impedito la distruzione che poteva essere più profonda di quella provocata dal sisma. L’atmosfera era tale che sembrava di udire i volontari camminare sopra le macerie mentre, il 7 maggio 1976, recuperavano il tesoro del duomo.

Emozioni sconfinate poi nella voce di Cacitti mentre annunciava di voler dedicare il premio al progettista del restauro del duomo, l’architetto Francesco Doglioni, «un feltrino diventato più friulano di me», e «a chi non c’è più fra noi. In particolare a Maria Pia Rossignani, docente di Archeologia classica, che tutti ricordano curva a misurare le pietre».

Infinito l’applauso, un grazie davvero sentito perché «l’autorevolissimo studioso di Storia del Cristianesimo all’università di Milano, fu l’ispiratore del progetto di recupero del centro storico e del duomo di Venzone, simbolo della rinascita del Friuli terremotato».

Queste le motivazioni lette dal presidente dell’associazione culturale don Gilberto Pressacco, Flavio Pressacco, dopo aver condiviso le qualità positive del premiato elencate da Federico Rossi, insignito lo scorso anno dello stesso premio. Cacitti è stato descritto come un uomo di rigore, severo con se stesso e con gli studenti, generoso, libero e senza manie di potere.

«Una sorta di mosca bianca nell’ambiente accademico», ha aggiunto Rossi ricordando che Remo all’indomani del sisma costituì il Comitato di coordinamento per il recupero dei beni culturali, bloccò le ruspe che iniziavano a demolire gli edifici, costituì il comitato popolare “19 marzo” che pubblicava “Cjase nestre”, il settimanale d’informazione che arrivava casa per casa.

E il 20 agosto 1977 gli abitanti di Venzone firmarono la petizione con la quale chiedevano di rifare Venzone com’era e dov’era. «La sfida che sembrava impossibile veniva fatta propria dalla gente», ha ribadito Rossi senza dimenticare di dire che il progetto commissionato dalla Fabbriceria del duomo a Doglioni fu approvato dal ministero a dispetto di quello presentato dalla Soprintendenza alle Belle arti. «Se non ci fosse stato Remo - si è chiesto Rossi - tutto questo sarebbe accaduto? Lascio la risposta a chi ha lavorato con lui, ma immagino quale sarebbe».

E Cacitti, lo studioso scrupoloso che tra un intervento e l’altro ha letto e riletto la lectio magistrale, ha ammesso: «Sono emozionato perché mi viene restituita un’immagine in cui sono disposto a riconoscermi. Non credo ci sia ipocrisia, onestamente è un premio che mi fa piacere».

Dopo una minuziosa riflessione sul significato di rusticitas, inteso come doppiezza, Cacitti ha definito il duomo e il centro storico di Venzone ricostruito pietra su pietra «un’opera di rusticitas audacia. Non ci siamo fatti deportare in pianura - ha aggiunto il professore -, ci siamo opposti mantenendo il valore della comunità. Non ci siamo limitati alle battute, abbiamo dato corso a una progettualità a un’ideale di progettualità». Tutto questo consentì a Venzone e alla sua gente di imboccare la strada giusta. «Abbiamo lottato anche sotto il profilo religioso, mantenendo il contatto con questo duomo.

Anche quando c’erano gli spezzoni, nei momenti particolari abbiamo sempre fatto le celebrazioni in duomo». Tant’è che quando fu riaperto al culto «non l’abbiamo consacrato perché negli anni - ha sottolineato il professore - era diventato il muro del tempo, della speranza di riedificarlo. Ce l’abbiamo fatta». E rivolgendo lo sguardo al pavimento sotto il quale «c’è il precedente in cocciopesto usato come un grande tavolo da disegno», Cacitti ha ricordato che «il nostro progetto coincide esattamente con la riproposizione del cantiere medievale. Abbiamo ricomposto per terra nove mila pietre».

Il numero fa impressione soprattutto se si pensa che il 95 per cento delle pietre è stato recuperato quando la Carta del restauro di Venezia prevede un minimo di 75.

E in questo momento lo sguardo di Cacitti ha incrociato quello dell’architetto Doglioni al quale ha dedicato il premio precisando che la ricostruzione com’era e dov’era del duomo «è stato un grande lavoro di squadra, non ci sono personalismi, qui hanno lavorato tutti». A questo punto la commozione ha rotto la sua voce, qualche istante, l’abbraccio di Pressacco e poi il pensiero è andato «a chi non c’è più fra noi».

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