Verso il raddoppio dei tamponi, ma mancano i reagenti: fermo un macchinario a Udine

UDINE. Nella Fase2 la Regione punta a fare seimila tamponi al giorno, un obiettivo raggiungibilissimo se ci fosse la disponibilità dei reagenti. La sostanza necessaria per sapere se il test del coronavirus è positivo o negativo è quasi introvabile.
Basti pensare che il laboratorio dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (Asufc) di Udine ha a disposizione una strumentazione automatica in grado di fare 1.500 dosaggi al giorno che non può mettere in funzione perché manca il reagente.
È questa la grande incognita della post emergenza da coronavirus: sul mercato mondiale non si trovano abbastanza reagenti. Il problema è serio tant’è che il commissario Domenico Arcuri, ha predisposto una richiesta di offerta internazionale per acquistare 5 milioni di kit.
«I reagenti – conferma l’assessore regionale alla Salute, Riccardo Riccardi – rischiano di essere le mascherine della prima ora», ovvero introvabili.
«In Italia non si producono reagenti – spiega il direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio della Asufc, Francesco Curcio –, l’azienda che ha messo a disposizione l’attrezzatura in Italia non li fornisce». Il laboratorio di Udine si salva grazie al cosiddetto protocollo Stefy, il metodo messo a punto dalla biologa molecolare Stefania Marzinotto, che superando i problemi della carenza di reagenti per l’estrazione del Rna dai campioni biologici, consente al laboratorio di analizzare 2.200 tamponi al giorno.
«L’Italia – fa notare Curcio – ha abbandonato la politica industriale seria, il Paese con un premio Nobel per la Chimica non è in grado di produrre reagenti». Come per le mascherine anche questo sarà uno dei temi da affrontare nel dopo coronavirus. Intanto la Regione continua a fare da sé cercando, attraverso la Protezione civile, d’intesa con gli stessi laboratori, il materiale sul mercato.
Da Roma i reagenti non sono mai arrivati nonostante la Regione abbia trasmesso al commissario la stima dei quantitativi necessari soprattutto per la Fase2.
In questo momento avere la disponibilità dei reagenti è fondamentale visto che la riapertura della maggior parta delle attività fa leva sull’esecuzione dei tamponi che restano – l’ha ribadito anche il Ministero della salute nell’ultima circolare – l’unico metodo valido per la ricerca del SarCov2.
A differenza dei reagenti, per quanto riguarda la disponibilità di kit per i tamponi, nella nostra regione, non si segnalano particolari criticità anche perché la struttura commissariale li sta fornendo.
«Il Friuli Venezia Giulia – ricorda Riccardi – assieme al Veneto, al Trentino Alto Adige e alla Val D’Aosta è tra le regioni che hanno fatto più tamponi in Italia». A stilare la classifica è stata la Fondazione Gimbe secondo la quale, a fronte di una media nazionale di 88 tamponi per 100 mila abitanti, nessuna Regione riesce ad andare oltre i 250.
La performance migliore, quindi, resta quella della nostra Regione che come il Veneto, la Valle D’Aosta e il Trentino Alto Adige si colloca nella classe 2, quella che va da un minimo di 130 a un massimo di 250 tamponi totali per 100 mila abitanti.
Classifiche a parte il problema resta. Ecco perché la Regione ha chiesto alle Aziende sanitarie di quantificare le esigenze future. L’obiettivo è non farsi trovare impreparati di fronte a possibili aumenti dei contagi non solo nella Fase2, ma soprattutto in autunno quando molti temono che il virus tornerà a farsi aggressivo.
Da Roma i reagenti dovrebbero arrivare a fine mese se, come prevede la richiesta d’offerta, le consegne dei kit avverranno entro le prossime due settimane. La complessità dei rifornimenti è dettata anche dal fatto che ogni laboratorio usa piattaforme diverse con reagenti diversi
Questo fatto, però, soprattutto durante il periodo più critico, ha consentito di rispondere alle richieste dei tamponi. A differenza delle mascherine, la produzione fai da te dei reagenti non è fattibile perché nessuno sarebbe in grado di produrre le quantità necessarie per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
- Il reagente “marca” il virus
È la sostanza che serve a “marcare” la presenza del virus, nel momento in cui la sostanza prelevata con il tampone viene gestita dai laboratori.
Non esiste un tipo di reagente uguale in tutte le regioni: la sostanza cambia non solo da regione a regione, ma addirittura da laboratorio a laboratorio.
Anche per questo il commissario Arcuri ha dichiarato nei giorni scorsi la propria disponibilità a ricevere richieste di supporto per consentire l’aumento della produzione in Italia di kit e quindi anche di reagenti, con l’obiettivo di garantire alle strutture sanitarie regionali le scorte. I primi contatti nei giorni scorsi tra la struttura commissariale e le associazioni del settore, Federchimica e Farmindustria.
- Come funzionano e cosa rintracciano
Il tampone è lo strumento finora utilizzato sui pazienti sospetti di aver contratto il coronavirus. In caso di positività, si procede a un secondo test per confermare il contagio.
La procedura prevede che operatori sanitari, opportunamente “bardati” in capi di biocontenimento, raccolgano un campione di muco o saliva attraverso un bastoncino con la punta di cotone. Al soggetto da analizzare viene fatto reclinare il capo per permettere di prelevare con maggior facilità il materiale organico necessario.
I campioni vengono poi spediti e fatti analizzare nei laboratori specializzati: ogni regione ha individuato i propri centri di riferimento. I risultati dei test si ottengono generalmente dopo 4-6 ore.
- Quanti ne servono per tutto il Paese?
Il commissario Domenico Arcuri ha pubblicato una «richiesta di offerta» per acquistare kit per i tamponi e reagenti. La richiesta è aperta alle aziende di tutto il mondo.
Le offerte andranno comunicate entro sette giorni con l’impegno a consegnare i prodotti il prima possibile e comunque entro 15 giorni. L’obiettivo è distribuire 5 milioni di tamponi a partire dalla prossima settimana. Al 9 maggio erano stati distribuiti 2,4 milioni di kit.
Un numero non molto al di sotto dei tamponi effettuati finora in tutta Italia, 2,5 milioni. Quella cifra è stata raggiunta anche grazie a kit acquistati in autonomia dalle regioni. Dopo aver ricevuto le offerte, il commissario le dovrà incrociare con i fabbisogni delle singole regioni
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