Vessazioni continue su figli e compagna, padre-padrone a giudizio

Udine, un uomo di 44 anni dovrà difendersi dall’accusa di maltrattamenti

UDINE. In sua presenza, se era arrabbiato, pretendeva che convivente e figli tenessero lo sguardo abbassato. E questo era niente rispetto alle aggressioni, verbali e fisiche, alle quali si abbandonava quando perdeva letteralmente le staffe, spesso per un nonnulla.

A un certo punto, però, all’ennesima razione di botte, lo spirito di sopravvivenza ha avuto il sopravvento e lei, non appena uscita dall’ospedale, è andata a denunciarlo. Poi, naturalmente, ha fatto le valige e con i bambini si è rifugiata altrove.

L’incubo di una donna di 46 anni della Bassa friulana e dei suoi due figli, entrambi ancora minorenni e avuti dallo stesso compagno, è approdato in questi giorni in tribunale. L’uomo, che è orignario di Trieste, ha 44 anni ed è difeso dall’avvocato Tiziana Stafuzza, è accusato di maltrattamenti e lesioni personali aggravate e di queste ipotesi di reato dovrà rispondere davanti al giudice monocratico del tribunale di Udine, nel processo al via dal 5 aprile del 2016.

Esaminati gli elementi di prova portati in udienza dal pm Elisa Calligaris, il gup Daniele Faleschini Barnaba ha ritenuto necessario il vaglio dibattimentale e disposto nei suoi confronti il decreto di rinvio a giudizio.

Tanti e drammatici gli episodi esposti in querela dall’avvocato Samantha Zuccato, legale della donna che ha raccontato di essere stata costretta per anni a sopportare le angherie e i soprusi di quello che, a tutti gli effetti, sembra rispondere all’immagine del “padre e padrone”.

Con i suoi modi, le ingiurie e le minacce, li avrebbe fatti vivere in un clima di autentico terrore, imponendo a lei e ai loro bambini il silenzio e lo sguardo abbassato anche a tavola, durante i pasti, in segno di sottomissione.

Ne aveva per tutti: insulti alla compagna, apostrofata come una «cicciona» e una «senza cervello» e picchiata con violenza (il capo d’imputazione gli contesta un’aggressione risalente al 27 dicembre 2013, quando l’afferrò per il collo e sbattè contro il muro, cagionandole un trauma e lesioni giudicati guaribili in cinque giorni); e offese pesanti anche ai figli, denigrati e umiliati a parole e con i fatti.

La bambina, in particolare, sarebbe stata presa a calci all’uscita da una festa estiva, davanti agli amichetti, e colpita a un dito con una confezione di domopak di lì a qualche giorno, perchè si era colorata le unghie con lo smalto. Nei confronti del bambino sono stati lamentati soprattutto gli epiteti adoperati nei momenti di ira. Lo chiamava «un buono a niente» e questo, a quell’età, fa doppiamente male.

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