Via Gemona, bar ad alto gradimento
Dal centro a piazzale Osoppo gettonatissimi locali per buongustai
Via Gemona è una delle strade cardine della città, una via costellata di sedi prestigiose e di memorie (basti pensare all'Università, al palazzo palladiano della Banca d'Italia, alla casa di Giovanni da Udine). Ed è caratterizzata, come peraltro tutto il centro storico, da locali pubblici ad... alto tasso di gradimento. Da Riva Bartolini, appena lasciata la biblioteca Ioppi, fino a piazzale Osoppo è una discesa a senso unico che riserva molte piacevoli sorprese ai buongustai, non solo agli appassionati del tajùt. Cominciamo da un'osteria relativamente recente (anni '60), ma che è già un classico, anche per il nome accattivante: Pieri Mortadele. Si trova al numero 8 di Riva Bartolini, in un edificio cinquecentesco che in precedenza ospitava una nota pasticceria. Erano gli anni '30 quando la aprì Francesco (Chechi) Quendolo, che poi si spostò in Mercatovecchio e la gestione della sua prima pasticceria passò alle sorelle Artuso. Nel 1958 la ripresero i figli di Chechi, Bruno e Franca, che nel '61 vendettero la licenza ai Lestani (oggi in Baldasseria). Arriviamo quindi a Pietro Chiandussi, detto appunto Pieri Mortadele per il gigantesco insaccato (siamo sui due metri di lunghezza per 250 chili di peso!) che da allora troneggia nel locale. Pieri ha condotto l'osteria, assieme alla moglie Gemma Candelotto, fino a dodici anni fa. Oggi i titolari sono Luca Mercino e Paolo Genuzio (gestori anche del rinnovato ristorante San Michele dello chef Beppe Fornaca al castello di Fagagna), che a Udine si avvalgono dell'"oste di fiducia" Giordano Gondolo.
La mortadella, attorno alla quale ruota la vita del locale, comincia a farla da padrona con gli aperitivi (taglietti e spritz) e fa capolino anche per i pranzi veloci con panini e taglieri preparati al momento. Per la cena buoni abbinamenti con formaggi e ampia scelta di vini di etichetta, ma "per tutte le tasche". Pochi passi verso via Gemona ed è già Sbarco dei pirati. Sulla porta un'imponente statua di Capitan Uncino, all'interno una foto ottocentesca del locale con l'insegna originaria "al Barbon". Dal 1995 il gestore è Stefano Lerussi, di Passons, che, appunto dodici anni fa, ha compiuto un'inversione di tendenza: ha ripristinato la cucina tipica friulana archiviando un passato (otto anni) di pizzeria. Lo Sbarco è un tempio di ricordi: alle pareti foto, pagine di giornali, cimeli vari (Mauro Corona si è autodisegnato e sottoscritto: "Bevei e tasei!"). L'attuale nome risalirebbe all'ultimo dopoguerra. Lerussi mostra una foto di gruppo del 1953 indicando il titolare dell'epoca, il mitico Giovanin Del Fabbro (più conosciuto con un altro, singolare appellativo). La clientela attuale è varia e affezionata, spazia dagli studenti alla gente d'una certa età, ai turisti di passaggio. In piazza San Cristoforo, sotto i portici del palazzo Caiselli, c'è il bar caffè Astoria, aperto originariamente in via Mercatovecchio dall'ex giocatore dell'Udinese Oscar Vicich. Dagli anni '70 è nell'attuale sede e dal 1998 è gestito da Adriano Bandera, di Maiano. Propone caffetteria e tavola fredda, e lavora "al 90 per cento con Università e banche". (Ricordiamo che nella dépendance del palazzo Caiselli, tra il 1900 e il 1932, c'era l'osteria All'Ortolano, gestita da Elio De Luca che poi si trasferì al Trombone di via Pracchiuso). Vicino alla chiesa troviamo l'insegna al Vapore, che risale al 1882. Osteria e ristorante, lo storico locale è ora inserito all'interno del Borgo Mercatovecchio e dal 2004 è condotto dai coniugi Paolo Vidoni e Joselina Neri.
Un tempo famoso per le patatine fritte (si ricorda la gestione anni '60 di Luciano Tuti, che poi passò alla locanda alla Montagna davanti al Florio), il Vapore adesso va forte con le pizze alla soia, oltre che con le carni alla griglia e i carpacci di verdure. Propone pranzi leggeri e alla sera "convivialità più spiccate". Ma perchè quel nome? Non si sa. Quargnolo lo vede come "un omaggio al Progresso" (un altro locale, più o meno coevo, che si trovava dall'altro lato della chiesa era intitolato "al Telegrafo"). E accanto al Vapore fa capolino un'altra vecchia osteria, il Borgàt. Pasti rapidi, spuntini, ma anche bar notturno, dopo varie gestioni dallo scorso gennaio è diretto dal barman Marco Ventura, originario di Monza, e dalla udinese Bruna Coceani. Facendo un passo indietro, all'inizio della via omonima troviamo il Caffè gelateria Portanuova, da dieci anni condotto da Paola Colombaro: ha sostituito Il Coccodrillo, emigrato in via Manin, ed è frequentato da molti ragazzi della vicina biblioteca. Arriviamo così ai palazzi universitari, Florio e Antonini (ma prima, in via Palladio, troviamo il raccolto Demart caffè, da un anno e mezzo gestito da Ivana Lattarulo). Al palazzo oggi sede del Rettorato è legato il ricordo dell'osteria Florio, purtroppo scomparsa negli anni '80 del Novecento. Era sorta nel 1834 quando - così si racconta - i conti si trovarono con tanto vino, prodotto nelle loro tenute, da non sapere come smaltirlo. Così aprirono una finestra nel muro che dava sul vicolo e organizzarono una vendita al pubblico.
L'iniziativa ebbe successo e lo spaccio improvvisato divenne osteria. Il periodo d'oro fu quello della gestione di Giacomo (Iacum) Candido, che si protrasse dal 1890 al 1934 (tra gli habitué del Florio il poeta Enrico Fruch e il pittore Marzio Carletti che ritraeva gli avventori). Dal 1935 al '50 a Iacum subentrò Teresina, sorella di Ernesto Cita dell'Hotel Friuli. Seguirono altri gestori: nel 1954 Eugenio Saccomano, quindi sua figlia Eliana e i coniugi Romanin di Forni Avoltri (nell'ultimo periodo il Florio era diventato un ristorante-pizzeria "alla carnica"). Il palazzo Antonini, sede centrale dell'ateneo, ha oggi di fronte non soltanto il famoso e discusso "sarcofago" di pietra, ma anche un ristorante etnico, Alle mille e una notte, con cucina araba. Segno dei nuovi tempi, esiste dal 2002 (prima c'era un negozio di giocattoli) ed è diretto dal siriano Rida Akkad che vive a Udine dal 1994. "La clientela - premette Akkad - è italiana al 99 per cento. Siamo partiti con i giovani, ma adesso abbiamo anche altre fasce d'età". Molti gli studenti, ma anche i professori ("spesso viene lo stesso Rettore"), che usano la sala diciamo "europea". Poi c'è la sala mediorientale (davvero da mille e una notte!), dove il giovedì sera si assiste alla danza del ventre, "con menu - degustazione". Unico ristorante arabo esistente a Udine (presto ce ne sarà uno anche a Lignano), è collegato con altre iniziative come il vicino negozio Syria e la scuola di danza Regina di Saba in via Cicogna. Sulla piazzetta Antonini si affacciano, comunque, altri due locali, friulanissimi: il bar pasticceria Galanda e la trattoria ai Frati.
Il primo, fino al 1960, era gestito dalla famiglia di Emilio Galanda, legata anche al Bottegone di via Vittorio Veneto. Nel 1969 sono arrivati Armando Grando e Maria Tracogna, che hanno portato avanti il Galanda per ben 23 anni, ristrutturandolo e dotandolo, dal 1988-'89, anche della cucina. Nel '92 hanno passato la mano ad Aldo Paiaro, per cinque anni, al quale è seguita Mara Fabbro, per altri nove. Cioè fino a poco più d'un anno fa, quando è subentrato l'attuale titolare, Andrea Peresani. Andrea è un giovane, pieno d'entusiasmo. "Abbiamo l'Università qui accanto: professori, studenti, impiegati: è un bel lavorare!" Accanto al Galanda ci sono i Frati, ancora più ricchi di storia. L'osteria risale alle fine del '700 e sembra aver preso il nome da disegni di monaci "bacchici" che ornavano le pareti. Alla metà dell'800 la trattoria risulta gestita dai due fratelli, zii del generale Carlo Caneva (udinese, sarà il primo governatore della Libia dopo la guerra italo turca del 1911-'12). Altri gestori importanti Amalia Clocchiatti ("la cividalese"), Fioravante Ferrazzutti e "zia" Ilde Contardo (ma siamo già agli anni '50 del Novecento). Da vent'anni, da quando è proprietario Gino Ferri, si sono succedute sette-otto gestioni poco fortunate (nel '96 si era cimentata la cooperativa La Sedon di Latisana). Ora da due anni la titolare dei Frati è la signora Rosa Paolini, che ha ridato slancio al locale. Tra le varie iniziative, le serate musicali del martedì con due bravi artisti, Stocco e Croatto. Tra la piazzetta Antonini e la via Giovanni da Udine c'è la casa dell'illustre pittore che fu allievo di Raffaello (e che ha dato il nome al nuovo teatro).
Sotto i portici si allineano due locali: la caffetteria La Panarie di Paolo Cossar (è titolare anche del rinomato panificio e bar di viale Duodo), e l'osteria La Nicchia. Quest'ultima (ex Frasca) è stata riaperta da pochi giorni, col nuovo nome, da Massimo Di Prisco, sardo, e da sua moglie Silvia, sandanielese, coadiuvati da Sabrina Romanello. Tra le specialità, il famoso pecorino della regione del marito (farcito al mirto e al timo, secondo una ricetta preziosa e rara) e il prosciutto e la trota salmonata alle erbe del paese della moglie, abbinati al pane sardo carasatu. In via Gemona ci sono anche i caffè. Cominciamo - noblesse oblige, direbbero i francesi - dal Caucigh. Lo ha avviato, nei primi anni del '900, Enrico Caucigh (pane, dolci e liquori); alla sua morte, nel 1943, gli subentrarono le tre figlie Rica, Ida e Maria che condussero l'esercizio fino al 1986. Da allora il Caffè Caucigh è gestito da Roberto Maurizio e Franco Fiorindo, che ne hanno fatto un locale à la page, ricco di curiosità e reperti storici, frequentato dal mondo universitario e dagli appassionati del jazz (il venerdì sera c'è musica dal vivo). Ogni mese si presenta un pittore e al primo piano, nell'"aula magna", si festeggiano le lauree. Più avanti, sempre in via Gemona, c'è il Corin, già appartenuto a una catena della quale conserva il nome; è gestito da sei anni da Simonetta Paulis, affiancata dal figlio Andrea Delli Zotti. Offrono degustazione, aperitivi e stuzzichini. Una classica pasticceria è, invece, il Caffè Galimberti che ha più di 85 anni (è sorto poco dopo il 1920).
Dietro il banco, e in laboratorio, si sono avvicendate tre generazioni di Galimberti: Eugenio, Giuseppe e ancora Eugenio. Quest'ultimo ha ceduto la gestione vent'anni fa all'attuale titolare, Isabella Tudech Sgorlon, che tuttora conduce la pasticceria con le figlie Elena e Sara. In un angolo del salottino era solito riunirsi, in amabili conversari, un gruppetto di amici, tra cui l'onorevole Scovacricchi, Renzo Valente, il professor Zanuttini e Ottavio Valerio. Quasi di fronte, in via Santa Chiara, c'è il bar Alla Rosa, condotto, dal 2000, da Antonietta Zanuttini (aveva il Vinci, in viale Leonardo). Prende il nome dall'emblema di una nota agenzia immobiliare che si è spostata in via Parini. E' un locale un po' nascosto, in una strada a senso unico. "Meno male - commenta la titolare - che ora c'è il parcheggio a pagamento e si trova posto. Non solo, hanno aperto il secondo ingresso dell'Uccellis e c'è un po' più movimento!". In fondo a via Gemona troviamo il caffè-pasticceria Cannella, che ha preso il posto di un bar bianco (ma prima ancora c'era il negozio Discotex). Da un anno è gestito da Stefan e Vania che, tra uffici regionali e banche della zona, hanno una buona clientala. E adesso bisogna parlare della Colonna, una delle più famose osterie-locande cittadine (ha duecento anni di storia!), purtroppo chiusa dal marzo 2005. Prende il nome da una colonna che si trovava in mezzo al cortile, alla quale venivano legati i cavalli. Si ricordano le ultime gestioni: dagli anni '20 i coniugi Angelo e Assunta Petrozzi, poi per trent'anni la famiglia Zanelli, fino agli ultimi gestori, Gino Cesarato, con la moglie e il figlio René.
Il palazzo faceva parte del lascito Toppo Wassermann ed è stato messo all'asta dal Comune. Lo ha acquistato una società che ha avviato i restauri: sono in corso trattative ed è stato annunciato che "avremo una nuova Colonna". Intanto il presidente di Borgo Gemona, Fabio Di Bartolomei, ha mantenuto formalmente la sede dell'associazione nell'osteria, ma l'ex gestore Cesarato ci ha detto che mobili e arredi sono stati venduti, compreso il tavolo attorno al quale (lo ricordava un targa) sedevano abitualmente il rettore del Toppo Ottavio Valerio e i suoi amici! Arriviamo, infine, in piazzale Osoppo. Non senza aver ricordato il Valentino (oggi sostituito dall'ennesima banca), chiamato "il Cremlino" per l'orientamento politico di molti dei suoi avventori: era gestito da Pasquale Zuiani, imparentato con il cardinale Pironio. E non va dimenticato neppure il rinomato caffè Bartolomei, che si trovava poco più avanti. Sotto la galleria resiste il bar Alle Alpi, sorto nel 1963 assieme alle "torri" del piazzale e poco prima del cinema Capitol (1966). Dal 1984 è gestito dai coniugi Fortunato Martinelli, emiliano, e da Maddalena Favero, trevigiana (prima di loro s'erano avvicendati, nell'ordine, i Rizzardini, Nello Ghea e Italo Grando). Chiuso, nel 2002, il cinema, e chiusa, molto tempo prima, la birreria Moretti, la galleria e lo stesso piazzale Osoppo la sera sono "un mortorio". "Certo, col cinema si lavorava di più - spiega Martinelli - almeno fino all'avvento delle multisale. In galleria sono spariti negozi storici, come il tabacchino di Marino Marini, l'ottica e fotografia di Enrico Pavonello... Però adesso c'è una palestra e presto, dicono, si trasferirà qui la Posta di via Gemona". Su via San Daniele si affaccia il ristobar Bocconcino, che da un anno ha preso il posto del Ricki bar ed è gestito da Ivana Sgorlon. Sul lato sud-est del piazzale Osoppo, chiuso da circa tre anni il bar Alle vecchie mura (dopo la scomparsa del titolare Duilio Fantini), è rimasto solo il City bar. Gestito, da dodici anni, da una società che fa capo a Tiziano Giorgessi (titolare anche del Niù, noto "ristorante informale" di viale Tricesimo) e a Romina Di Doi, il City è sorto nel 1993, all'angolo di via Uccellis, al posto di una vecchia vetreria. In un punto strategico, tra il Blockbuster e gli uffici della Regione, a due passi da un locale monstre come il Birrificio udinese, definito "la fabbrica di birra artigianale più grande d'Italia".
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