Vidoni fallita, in fumo 110 posti di lavoro

Udine, la sentenza del Tribunale è arrivata dopo quattro giorni. L’azienda vanta cantieri per 100 milioni e crediti per 80

UDINE. Quattro giorni, tanto è servito al tribunale per dichiarare il fallimento della Vidoni spa. Dopo 62 anni di attività e una battaglia strenua contro la mancanza di liquidità, un’azienda che vanta cantieri per 100 milioni di euro (l’appalto Anas sulla Olbia Sassari e quello di Autovie a Pordenone) e crediti verso Anas per oltre 80 milioni, è costretta a chiudere.

Ma non senza lottare: la società non commenta la battuta d’arresto, ma fa sapere che presenterà reclamo contro la sentenza.

Il tribunale di Udine - presidente Francesco Venier, giudici Andrea Zuliani e Gianmarco Calienno - ha dato seguito alla richiesta di fallimento avanzata dal pubblico ministero e ha nominato Giovanni Turazza (già commissario) curatore fallimentare.

Entro tre giorni la proprietà dovrà depositare tutti i libri e le scritture contabili della società, oltre all’elenco dei creditori. Considerata la «particolare complessità della procedura», l’udienza è stata fissata al 7 aprile 2017. Per i lavoratori è l’ennesima mazzata dopo mesi passati a sperare (e lavorare).

I 110 dipendenti della Vidoni ora sono finiti in un limbo dal quale potrà riscattarli soltanto Turazza, ma con il licenziamento. Questo significa perdita immediata della cassa integrazione (attiva fino a febbraio).

I sindacati hanno indetto un incontro con i dipendenti per mercoledì 2 novembre, intanto puntano anche ad aprire un tavolo di discussione con l’associazione degli industriali e con il curatore.

«Chiederemo un incontro al curatore fallimentare per capire se c’è qualcuno interessato all’affitto - spiega Massimo Minen, segretario della Feneal Uil Udine -. Ma è dura. Questa è un’altra botta a un settore, quello edile, sottoposto a un massacro continuo».

A informare Francesco Gerin della Fillea Cgil, è stato un lavoratore. «Visto il parere della Procura, per il giudice era impegnativo decidere diversamente - commenta -. Credo che il danno in questo momento sia incalcolabile: era l’ultima impresa di costruzioni generali del Friuli Venezia Giulia in grado di fare gallerie per Anas e per Fvg Strade.

È vero, abbiamo anche Rizzani De Eccher e Icoop, ma non realizzano questo tipo di infrastrutture, sono specializzate in altri ambiti».

Gerin si spinge anche a tratteggiare l’impatto economico diretto e indiretto di questo fallimento. «Abbiamo 110 posti di lavoro persi più tutto l’indotto che girava intorno all’impresa che aveva macchinari e officina in gestione diretta - spiega -. In questo modo si leva economia al territorio.

In più queste sono per lo più famiglie monoreddito e i lavoratori sono costretti ad andarsi a cercare lavoro da altre parti o riconvertirsi, mandando in fumo anni di professionalità».

Nel calderone dei danneggiati finiscono anche «i locali pubblici in cui gli operai andavano a mangiare a mezzogiorno, le rivendite di materiale edilizio, le società che rifornivano calcestruzzi e cemento. È un danno incalcolabile», sentenzia Gerin.

C’è poi un altro aspetto da considerare: «Il rischio sono le infiltrazioni mafiose - avverte Gerin -. Quando non hai imprese a stampo tradizionale sul territorio, come era Vidoni, con una sede visibile, un’officina, un magazzino, quando levi dal mercato queste imprese, restano le “scatole vuote”.

Imprese, gruppi con pochissimi dipendenti, senza sede, che cercano di correre negli appalti pur di aggiudicarsi qualcosa. Questo è il terreno preferito dalle infiltrazioni mafiose. Con questo non obietto sulle responsabilità, ma da oggi dobbiamo stare doppiamente attenti».

A gettare nel tunnel della crisi Giuliano Vidoni e la sua azienda, è stata l’Anas. Un po’ per i mancati pagamenti dei lavori (che il patron avrebbe cercato di agevolare consegnando bustarelle alla dama nera dell’Anas, Antonella Accroglianò, comportamento che gli è costato il carcere), un po’ per la risoluzione del contratto per un tratto della Salerno - Reggio Calabria.

Al Megalotto 4 la Vidoni lavorava a capo del Consorzio stabile Grecale (in Ati). Un appalto da oltre 143 milioni realizzato al 49 per cento, ma da riassegnare «per gravi ritardi registrati nell’esecuzione dei lavori di adeguamento», ha scritto l’Anas in una nota.

In sua difesa l’azienda aveva sempre fatto sapere di non essere stata messa nelle condizioni di operare. Tesi che prima Anas ha rigettato, poi pare abbia sposato poiché ha fatto causa alle compagnie che non avrebbero bonificato le aree di cantiere. Troppo tardi per i tempi di un’azienda privata.

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