"Vogliamo essere artiste, non muse": la storia si ripete, quante donne hanno ceduto il posto agli uomini?
UDINE. Vi siete mai chiesti perché Joanne Rowling, creatrice della saga di Harry Potter sia uscita in stampa non con il suo nome ma con uno pseudonimo? Pare che glielo abbia chiesto la sua casa editrice preoccupata che il pubblico accettasse con difficoltà “una scrittrice donna”.
Ma contro quali pregiudizi e paure hanno lottato nei secoli le artiste? O le scienziate, si pensi solo a Eve Curie o Mileva Marić, fisica serba, prima moglie di Albert Einstein?
Emblematica è la storia di Aurelia Navarro, pittrice spagnola, che firmava con orgoglio i suoi quadri aspirando a un riconoscimento pubblico e sociale per il suo lavoro. Nata a Granada nel 1882 da una famiglia benestante, partecipò alle Esposizioni Nazionali di Belle Arti tenutesi a Madrid, ottenendo, a soli ventidue anni, una menzione d’onore nel 1904 per il suo “Sogno pacifico”.
Nel 1906, con l’opera Ritratto di giovane donna, vinse la medaglia di bronzo, premio le fu assegnato di nuovo nel 1908, per Nudo di donna, un nudo ispirato alla Venere allo specchio di Velázquez. Nonostante una promettente carriera artistica, e l’innegabile talento la famiglia della giovane pittrice considerò la sua popolarità e l’ambiente culturale in cui si muoveva immorale e inadatto per una donna.
La costrinsero a tornare a Granada dove fu sottoposta a pressioni talmente ripetute e violente da decidere di entrare a far parte dell’ordine religioso delle Adoratrici, dove la sua creatività artistica fu annientata. Finalmente il Museo del Prado, ha deciso di rendere giustizia a Aurelia e alle altre artiste schiacciate dal contesto sociale e abbandonate all’oblio della storia con la mostra “Invitate. Frammenti su donne, ideologia e arti plastiche in Spagna” curata da Carlos G. Navarro.
Il risultato è un viaggio al centro della misoginia, che smaschera gli ideali femminili della società borghese, attraverso l’esposizione di ritratti femminili commissionati sempre in un’ottica patriarcale e maschilista in cui l’unica virtù femminile ammessa è quella dell’angelo del focolare e dove la ribellione di mogli oppresse dai mariti e figlie sottomesse ai padri, è letta solo in chiave di devianza. Un mondo in cui le regole le fanno i maschi e le giovani sedotte e abbandonate, le madri snaturate, le donne infedeli, prostitute o streghe sono soggetti da emarginare o rinchiudere.
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nella risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 viene precisato che si intende per violenza contro le donne "qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata".
La violenza contro le donne è ritenuta una manifestazione delle "relazioni di potere storicamente ineguali" fra i sessi, uno dei "meccanismi sociali cruciali" di dominio e discriminazione con cui le donne vengono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini per impedirne il loro avanzamento.
Quante sono state le artiste emarginate per far posto agli uomini? Non lo sappiamo.
Quante sono le donne che ogni giorno subiscono violenza? Milioni. Quante sono state le donne uccise dai loro mariti e fidanzati nel 2020? Secondo i dati del Viminale la serrata è stata una strage di donne. In 89 giorni, ogni 48 ore, una donna è stata uccisa da un familiare. Aurelia Navarro è morta cinquant’anni fa, in un convento.
Dimenticò la sua arte e uscì dal mondo perché non resse la violenza dei suoi stessi familiari. Diceva “voglio essere un artista, non una musa”.
Non voleva essere un oggetto ma un soggetto. Perché un oggetto può essere distrutto, violato, cancellato, dimenticato. Perché un oggetto non ha voce, talento, desideri. È roba d’altri, non parla, non disturba, non si ribella.
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