Volontari in Siria: «Volevano rapirci»

Due udinesi dell’associazione Time4life sono rientrati in città dopo aver distribuito latte e medicine in un campo profughi

UDINE. Bab al Salam significa porta della pace, ma nella Siria della guerra civile è il nome del campo profughi di Azaz, cittadina all’estremo nord del paese. Senza elettricità, né acqua. Senza medicine, né latte per i bambini. Una precarietà costante, aggravata, dopo la preghiera delle 17, dai fischi delle bombe lanciate dal cielo.

In quell’inferno vivono al momento 14 mila persone. E in quell’inferno due udinesi, Stefania Zannier e Renato de Fazio, hanno trascorso la Pasqua per distribuire 800 chili di latte in polvere e 80 di medicine. Siamo al confine con la Turchia, a un’ora d’auto da Aleppo. È la sesta volta che Stefania e Renato volano in Siria sotto la bandiera dell’associazione Time4life. Ma questa volta tutto è diverso. Stanno sorvolando la Bulgaria quando la Farnesina cerca inutilmente di contattarli. Appena atterrati in Turchia i cellulari iniziano a trillare. È il ministero degli Esteri: «Non dovete entrare in Siria. Sappiamo che ci sono delle bande armate pronte a rapirvi. Conoscono i vostri nomi, gli spostamenti, sanno tutto. Sono balordi, ma voi in questo momento siete una merce di scambio preziosa». La tensione è alle stelle.

Ma a Stefania e Renato basta uno sguardo per decidere. «Siamo consapevoli dei rischi – spiegano –, ma i medicinali sono indispensabili per la vita di migliaia di persone. E in quel frangente non potevamo decidere di mandare a monte il lavoro e la generosità di decine di persone. Ci siamo messi in fila alla dogana turca come tutti. Passare quel blocco ci è costato dieci anni di vita. Ma alla fine è andato tutto liscio». L’opera umanitaria ormai è collaudata. Le prime ore del giorno servono a distribuire gli 800 chilogrammi di latte in polvere acquistato in Turchia.

«Davanti al container che usiamo per assegnare un chilogrammo di latte a ogni mamma si forma una coda lunghissima ma ordinata – spiega Stefania –. E questa volta siamo riusciti a esaudire le richieste di tutto il campo, anche se il latte basterà soltanto per una settimana».

La politica umanitaria di Stefania e Renato prevede la consegna personale di tutti i generi di prima necessità. Ecco perché sono usciti dal campo per consegnare un defibrillatore all’ospedale di Azaz. «L’enorme struttura principale è stata bombardata quindi i reparti si sono trasferiti nei sotterranei – racconta Renato –. È lì, sottoterra, che si opera, a volte anche senza anestesia. È lì che gli studenti di medicina cercano di salvare più vite possibile. Sono rimasti perlopiù ragazzi perché molti medici sono scappati. In quelle zone Emergency non presta servizio visto che non è garantita nessuna sicurezza. E la prossima sfida che vogliamo affrontare è proprio questa: serve personale sanitario, servono medici e infermieri».

Intanto sono Stefania e Renato che, con una preparazione di primo soccorso alle spalle, girano fra le tende del campo profughi per curare le ustioni delle bombe, piaghe e ferite.

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