A Dedica l’incontro con Kader Abdolah: il senso dell’arte di narrare
Nato in Iran e rifugiato politico in Olanda, ha aperto la 31esima edizione del grande evento culturale pordenonese

«L’arte di narrare rappresenta il dono più grande che Dio abbia dato dall’essere umano. In questo modo, tutto diventa possibile».
Come da tradizione, la 31°edizione di Dedica, il grande evento culturale pordenonese si apre con una conversazione con il suo protagonista: Kader Abdolah, lo scrittore nato in Iran che dal 1988, è rifugiato politico in Olanda.
Un dialogo che ieri, prima dell’inaugurazione, ha toccato molti temi: l’esilio, la religione, la scoperta della nuova lingua, con cui esprimersi e scrivere le sue opere, il potere della letteratura.
Con voce appassionata, lo scrittore ha annodato, storie ammalianti che, come lui stesso rivela, fanno parte del suo bagaglio, un termine che userà spesso, senza smettere di riflettere sull’Iran.
Autore di una trentina di libri, alcuni pubblicati in Italia, fra essi, solo per citarne alcuni, Scrittura cuneiforme, Il corvo, La casa della moschea e Il faraone d’Olanda, Abdolah a Dedica 2025 presenterà anche la nuova edizione italiana de “Il Messaggero” (Iperborea), vita romanzata di Maometto.
«Per prima cosa, desidero ringraziare gli organizzatori di Dedica, tutto lo staff, in particolare Claudio Cattaruzza, per il lavoro splendido fatto in occasione di questo evento. Per me è un onore essere qui. Mi sembra bellissimo essere designati a Pordenone, la Capitale della Cultura 2027».
Lo scrittore è stato perseguitato dal regime dello scià e da quello di Khomeini, nel 1985 è riuscito a fuggire prima in Turchia quindi, nei Paesi Bassi. Qui ha imparato l’Olandese, la nuova lingua. Oggi Kader Abdolah rappresenta uno degli scrittori più importanti nel panorama letterario mondiale.
«Non amo l’Islam secondo le modalità tradizionali. Il mio è un altro punto vista: io faccio lo scrittore e la finzione letteraria rappresenta lo strumento e la materia prima con cui creo le mie storie. Ad esempio, a mio parere, tra i dieci libri più importanti per l’umanità, i primi tre sono la Torah, la Bibbia e il Corano.
Quando li leggo, essendo scrittore, li considero come pura creazione letteraria. Nessuno può superarli in potenza narrativa. Maometto mi piace come essere umano, come sognatore. E così cerco di mostrarlo nelle mie pagine, proprio da scrittore. Maometto ha dato vita a una narrazione con la quale ha inteso cambiare la società e la religione costituisce una delle cose più belle create.
Non sto parlando della religione della chiesa o della moschea, sto parlando di religione come una purissima necessità dell’essere umano. In questo senso amo Maometto». La vita di Abdolah potrebbe essere la storia di un romanzo.
Immagina mai di tornare in Iran? «L’idea del ritorno a casa è un tema universale, importante nella vita e nella letteratura, fa parte della carne di un essere umano. Pensiamo all’Odisseo di Omero ed è uno dei temi più importanti anche nella letteratura persiana. Tornare in Iran? Non mi è consentito.
Tuttavia, nei miei libri, ho sempre cercato di tornare a casa. Ma cosa intendiamo come “casa”? Ho sempre pensato che casa fosse l’edificio dove abita tuo padre, tua madre, dove hai dei vicini, un albero di mele.
Ecco, io voglio tornare a casa ma per me non c’è più: i miei fratelli l’hanno venduta, mio padre è morto e mia madre ormai non mi riconosce, ha perso la memoria. Perchè tornare allora? Ho trovato la risposta nel tempo: la “casa” è la lingua con cui sei cresciuto. È ciò che i grandi scrittori hanno creato nella tua lingua, i classici intendo.
Ad esempio, per gli italiani potrebbe essere Dante Alighieri, per me che sono persiano, sono i classici della letteratura persiana. Da alcuni anni mi occupo di fare conoscere questi libri in Olanda e nel mondo. Mi sento a casa quando faccio questo».
«Scrivere – prosegue - è un processo magico, legato al nostro mondo culturale, alla società di provenienza, al nostro paese. Quando sono partito dall’Iran, avevo solo due mani vuote ma non ero ancora consapevole di avere sulle spalle, un grande zaino ideale pieno di letteratura, cultura, di lingue, religione, di tanti ricordi. In fin dei conti avevo 33 anni e avevo conosciuto molto del mio paese e della sua politica.
In Olanda, dopo alcuni anni, ho pubblicato il mio primo libro. All’improvviso, tutti ne parlavano. Non riuscivo a capire perchè, in fondo, non era un capolavoro. Non lo capivo ancora, ma avevo inventato una nuova prosa. Era un olandese al quale avevo dato la voce e il canto dei fiumi iraniani. Proprio grazie al mio bagaglio». Infine Kader Abdolah anticipa che sta scrivendo il nuovo libro anche in queste giornate pordenonesi.
Poche anticipazioni: per la prima volta tratterà di temi molto vicini alla storia dei Paesi Bassi e con tutti personaggi olandesi. Conclude sorridendo: «Ho sempre avuto paura di diventare uno scrittore olandese. E forse, oggi è proprio quello che sta accadendo».
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