A Milano rinasce la Torre Velasca: tra i progettisti c’era anche il friulano Peressutti

L’architetto di Pinzano faceva parte dello studio Bbpr che ne firmò la realizzazione 64 anni fa

Isabella Reale
La Torre Velasca e il gruppo Bbpr negli anni Trenta, nello studio milanese: da sinistra Peressutti, Belgiojoso, Rogers, Banfi
La Torre Velasca e il gruppo Bbpr negli anni Trenta, nello studio milanese: da sinistra Peressutti, Belgiojoso, Rogers, Banfi

UDINE. Riflettori puntati nuovamente sulla Torre Velasca che, in occasione dei suoi primi 64 anni, è stata recentemente restaurata, con tutti gli onori dovuti a una delle architetture più significative del dopoguerra, dopo l’ avvio dell’intervento celebrato, come si conviene a una vera icona dello skyline milanese, con la “Torre Velasca Ouverture”, un concerto tenutosi lo scorso giugno del 2021, dall’orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala sulla terrazza dell’ultimo piano dell’edificio, evento promosso dal gruppo americano Hines, investitore e sviluppatore di Torre Velasca, e introdotto dal sindaco Beppe Sala e dalla soprintendente Antonella Ranaldi.

A un anno di distanza dall’inizio lavori il grattacielo è stato recentemente liberato dalle impalcature mostrando ora il colore originario del telaio strutturale tamponato da pannelli prefabbricati in cemento e graniglia di porfido rosa, disposti in maniera irregolare: l’intervento di restauro e rigenerazione urbana ha la supervisione dell’architetto milanese Paolo Asti, in collaborazione con lo studio Ceas per i lavori di risanamento delle facciate, in stretto coordinamento con la Sovrintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Milano in quanto dal 2011 la Torre, che non ha mai avuto finora un intervento organico di recupero, è anche sottoposta a vincolo come edificio di interesse storico.

Al rinforzo strutturale, seguito dall'ingegnere Bruno Finzi dello studio Ceas (con elementi anche in fibre di carbonio per lavorare sotto intonaco) segue ora il rinnovo dell’impiantistica interna, e la fine cantiere si profila per il 2023, con la destinazione a residenze, uffici, ristoranti e spazi wellness dello storico edificio su progetto dello Studio Bbpr, acronimo dalle iniziali dei suoi fondatori nel 1932, Gian Luigi Banfi, morto in campo di concentramento a Mauthausen nell’aprile del 1945, il cui nome resterà a siglare anche in seguito i progetti del gruppo, composto da Lodovico Barbiano di Belgiojoso, il friulano Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers.

L’operazione ha messo in campo circa 220 milioni di euro, di cui 160 per l’acquisizione dell’immobile ceduto nel 2019 da Unipol al gruppo americano Hines, ed il resto per i lavori di rinnovamento che interesseranno anche la piazza circostante, il cui arredo urbano, in particolare i lampioni in profilato metallico color amaranto scuro, venne sempre ideato dai Bbpr.

Evidente la piena consapevolezza da parte di Milano, la città “che sale” per antonomasia, citando un celebre quadro di Boccioni, dell’importanza di questo edificio, una presenza di forte impatto visivo che nei manuali di storia dell’architettura viene segnalata per la nuova dimensione metropolitana del grattacielo che si richiama all’antica tipologia della torre, e i cui piani alti, destinati a lussuosi appartamenti, sporgono audacemente dal corpo centrale come nei camminamenti delle antiche torri medioevali.

Il progetto, elaborato nella sua versione definitiva tra il 1956 e il 1958, riproponeva in chiave moderna la tipologia delle torri comunali -pensando ad esempio alla Torre del Filarete caratterizzante, poco lontano, il Castello Sforzesco che solo pochi anni prima i Bbpr avevano mirabilmente riallestito come museo- e nelle nervature si richiamava alla struttura gotica della cattedrale, da qui facilmente visibile. Una forma nuova e modernista dunque che legava il passato al presente, pensata inizialmente in acciaio e vetro e poi, per motivi economici, realizzata in calcestruzzo armato con rivestimento in pietra.

Servirono 292 giorni per costruire la torre in una zona devastata dai bombardamenti, poco lontano dal duomo, nello slargo aperto nel 1651 dal governatore spagnolo Juan Fernàndez de Velasca da cui prende il nome. Nata per ospitare uffici, abitazioni negozi e sottostante autorimessa, alla sommità dei camini raggiunge 99 metri di altezza, sviluppandosi su 28 piani di cui due interrati.

Questo “omaggio a Milano”, allo spirito antico di una città proiettata nel futuro, come la definì Ernesto Nathan Rogers, divenne ben presto il simbolo della rinascita architettonica del dopoguerra, e come noto è firmata anche del friulano Enrico Peressutti, nato il 28 agosto del 1908 a Pinzano al Tagliamento, dove riposa dal 1976 in una tomba disegnata proprio dal sodale e amico Belgiojoso, che ebbe modo di rendere più volte omaggio alla personalità di Peressutti indicandolo come quello che, all’interno del gruppo Bbpr, “aveva il dono e la capacità di rappresentare col disegno le proprie idee, come se mente e mano fossero composte del medesimo tessuto”.

Nato dunque all’imbocco dell’Arzino, la valle dei costruttori, tra le maestranze votate alle grandi imprese edilizie a partire dal costruttore friulano per antonomasia, Giacomo Ceconi di Montececon, nominato conte sul campo per la perizia dei suoi arditi cantieri sia dall’Impero che dal regno d’Italia, anche Peressutti è figlio d’arte: dal padre Enrico, impresario e progettista, apprende i solidi principi del mestiere, nella sua prima gioventù trascorsa a Craiova, in Romania, dove il padre realizzò importanti edifici pubblici coniugando istanze moderniste all’interesse per le tipologie locali, un tratto che rimarrà nella sua formazione di giovane e brillante architetto, completata al Politecnico di Milano dove Enrico si laurea in nel 1932 incontrando e legandosi con quelli che saranno per sempre i suoi compagni di lavoro, un gruppo che ha scritto importanti pagine dell’architettura del ’900.

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